Corruzione nella sanità, "prove evidenti": a giudizio 10 imputati - Live Sicilia

Corruzione nella sanità, “prove evidenti”: a giudizio 10 imputati

Da Fabio Damiani ad Antonio Candela: chi finisce sotto processo

PALERMO – Giudizio immediato per tutti gli imputati dell’inchiesta sul presunto giro di tangenti nella sanità siciliana. Il processo inizierà in Tribunale il prossimo 1 febbraio.

Il giudice per l’udienza preliminare Antonella Consiglio ha accolto la richiesta del procuratore aggiunto Sergio Demontis e dei sostituti Giovanni Antoci e Giacomo Brandini, secondo cui “le prove sono evidenti”. L’evidenza è un requisito necessario per saltare l’udienza preliminare e iniziare subito il dibattimento. Per altri indagati la Procura al momento ha stralciato la posizione.

Un terremoto giudiziario, lo scorso maggio, ha travolto la sanità siciliana. Dieci le persone arrestate dai finanzieri del Nucleo di polizia economico-finanziaria.

Sotto processo sono finiti Fabio Damiani, manager dell’Asp di Trapani ed ex responsabile della Centrale unica di committenza che gestiva le gare di appalto a livello regionale; Antonio Candela, allora coordinatore della struttura regionale per l’emergenza Covid-19 ed ex manager dell’Asp di Palermo; Salvatore Manganaro, considerato il referente di Damiani per gli appalti; Giuseppe Taibbi, che invece era vicino a Candela: Francesco Zanzi, amministratore delegato della Tecnologie Sanitarie spa; Roberto Satta, responsabile operativo della Tecnologie Sanitarie; Angelo Montisanti, responsabile operativo per la Sicilia di Siram e amministratore delegato di Sei Energia scarl; Crescenzo De Stasio, direttore unità business centro sud di Siram; Ivan Turola, referente occulto di Fer.Co srl; Salvatore Navarra, presidente del consiglio di amministrazione di Pfe spa.

L’inchiesta avrebbe svelato un giro di mazzette per pilotare quattro gare di appalto: oltre 600 milioni di euro in forniture e servizi.

Candela nel corso di un interrogatorio ha spiegato di essere finito nella rete di Taibbi, che gli avrebbe fatto credere di essere un agente dei servizi segreti. Il fascicolo si è anche arricchito delle confessioni di Manganaro ai pubblici ministeri. Confessioni che gli sono valse gli arresti domiciliari perché “ha proceduto a una rivisitazione critica delle sue condotte e rescisso il legame con l’ambiente”.


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