"Così abbiamo salvato la bimba che aveva bevuto acqua di mare"

“Così abbiamo salvato la bimba che aveva bevuto acqua di mare”

Una bambina. Il fiato sospeso. La speranza.

C’è una bambina che ancora respira, che vive, che spera, ricoverata all’Ospedale dei Bambini di Palermo, in prognosi riservata. Ha due anni. E’ arrivata in Sicilia, dal Burkina Faso. Ma l’ultimo tratto lo ha percorso dalle coste di Tunisia. Si sono persi tutti quelli che viaggiavano. La piccola è sbarcata a Lampedusa, dopo giorni, bevendo acqua di mare, perché i viveri erano, nel frattempo, finiti.

La speranza è legata alle persone che l’hanno presa in carico, che l’hanno rianimata, che la stanno curando. Li chiamiamo ‘angeli’, quando abbiamo bisogno di loro. Poi li dimentichiamo. Ma sono sempre lì, oltre il confine della nostra paura per venirci a prendere.

Il primo soccorso è stato fornito da una dottoressa in servizio al 118, Emanuela Tumbarello che racconta la storia. Ce n’è voluto per convincerla a parlare: “Sa io preferisco stare nell’ombra”. La dottoressa Tumbarello si è decisa quando si è manifestata con chiarezza la ragione di questo racconto: mettere in circolo beni di estrema necessità come l’amore, la fiducia e la generosità.

“Per il turno a Lampedusa – la narrazione comincia qui – andiamo e torniamo con l’aereo. Stiamo tre giorni. Si tratta di un servizio molto intenso, specialmente durante la stagione balneare”. A Lampedusa c’è un Pte, ovvero un Punto territoriale d’emergenza. Non è un ospedale, ma un posto di soccorso da cui i pazienti più gravi vengono trasferiti.

“La segnalazione era quella di una bambina annegata – racconta la dottoressa Tumbarello -. Io stavo controllando i farmaci, quando è pervenuta la chiamata e ci siamo messi in macchina subito. Trovo la bambina al Pte. Sono partiti dalla Tunisia e hanno smarrito la strada, rimanendo senza cibo. Hanno bevuto acqua di mare per qualche giorno. La bimba non è reattiva, ma estremamente torpida. Non piange. Io sono un medico e anche una mamma, so che si tratta di un brutto segnale. Per fortuna muove le manine e le gambe. Gli esami dicono che ha una quantità di sodio altissima nel sangue. Oltre duecento e dovrebbe essere centoquaranta. E’ disidratata. Noto che ha un viso bellissimo, dolcissimo. Ma non c’è tempo di pensare a queste cose, dobbiamo fare in fretta”.

Agisce prontamente e con perizia la dottoressa Tumbarello, con lei ci sono l’infermiere Giuseppe Colletti e il rianimatore in servizio alla camera iperbarica, il dottore Stefano Bellanca. La piccola viene stabilizzata. “Saliamo sull’elicottero, c’è anche la mamma, pure lei non sta bene, non si rende conto del contesto – spiega la dottoressa -. Ha delle ustioni profonde nei glutei perché è stata immersa nell’acqua salata, mista al combustibile. Fortunatamente, il vento di scirocco ci aiuta. Arriviamo a Palermo in meno di un’ora”. Mamma e figlia, dunque, sono ricoverate, la prima al reparto Ustionati del Civico, la seconda alla Rianimazione dell’Ospedale dei Bambini. La situazione è stazionaria.

Emanuela Tumbarello, medico con anni e anni di servizio, sa che le emozioni ti colpiscono dopo. “Porto tutti con me – racconta -. Sono nel mio cuore e nella mia mente. Come una neonata di qualche anno fa che siamo riusciti a salvare”. Ed è un’altra storia, richiamata dalla foto che campeggia nella copertina di quest’articolo. Si vede una bimba minuscola che guarda la sua salvatrice, la donna a cui sta affidando, senza saperlo, la sua vita. Come si guarda un angelo. (Roberto Puglisi)


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