ROMA – “Oggi in Italia abbiamo 30-40 decessi al giorno e abbiamo un numero ridicolo di infezioni, evidentemente c’è una discrepanza ingiustificabile perché in tutti gli altri paesi d’Europa e del mondo c’è un rapporto di uno a mille rispetto ai numeri dei casi e dei decessi, quindi dovremmo avere anche noi un numero molto più grande di contagi e non si capisce la situazione. La gente pensa “abbiamo 1000 casi, è finito tutto”, invece non è finito tutto. Quello che conta è chi fa i tamponi, se noi nel computo mettiamo tutta la gente che si fa il tampone perché deve andare a lavorare, fa il tampone per lasciapassare sociale, è chiaro che li le incidenze sono bassissime. Invece se i tamponi vengono usati, ad esempio per la sorveglianza nelle classi, il risultato è completamente diverso. In genere bisogna prendere il numero di decessi, dividerlo per due e moltiplicarlo per 1000, quindi avendo tra i 30 e 40 decessi avremmo tra i 15mila e i 20 mila contagiati in Italia”. Lo afferma Andrea Crisanti, direttore del Dipartimento di Microbiologia Molecolare Università di Padova, a 24 Mattino su Radio 24.
“Il greenpass – prosegue Crisanti – è un’anomalia perché la protezione del vaccino per quanto riguarda l’infezione dopo sei mesi, si passa dal 95 al 40 per cento, quindi aver protratto la validità del vaccino da 6 mesi ad un anno non ha nulla di scientifico. Il greenpass è una misura per indurre la popolazione a vaccinarsi, abbiamo raggiunto livelli importanti di vaccinazione e poi anche il fatto del tampone dopo due/tre giorni, non c’è nulla che giustifichi misure di questo genere perchè una persona si può infettare il giorno dopo oppure quando fai il tampone puoi essere ancora infetto a livelli bassi e dopo tre giorni c’hai una carica pazzesca. il greenpass per avere un impatto sulla trasmissione dovrebbe essere limitato a quello che hanno fatto la seconda dose entro sei mesi e a chi ha fatto il tampone dopo le 24 ore. É chiaro che questa non è una cosa praticabile, no?”.