PALERMO – Crescenzo De Stasio, ex direttore Unità business centro sud di Siram, è stato condannato dal tribunale di Palermo a 7 anni di carcere per corruzione.
Nel maggio 2020 fu coinvolto nel il blitz denominato “Sorella sanità”. “Sorella”, infatti, era il soprannome con cui gli indagati nascondevano l’identità di Fabio Damiani, allora potente manager.
Appalto da 126 milioni
L’indagine del Nucleo di polizia economico-finanziaria, coordinata dalla Procura di Palermo, riguardava quattro gare pubbliche “truccate” tra cui quella vinta da Siram e Sei Energia Scarl: un appalto da 126 milioni per la fornitura dei vettori energetici e la gestione degli impianti tecnologici dell’Asp 6 di Palermo.
De Stasio è l’unico degli imputati ad aver scelto il rito ordinario. Gli altri protagonisti della vicenda, tra cui Fabio Damiani, ex responsabile della Centrale unica di committenza per gli appalti della Regione, sono stati già condannati in abbreviato anche in appello.
Secondo i giudici Damiani, che ha avuto 6 anni e 6 mesi, allora potente manager, “utilizzava il suo ruolo, la sua funzione per ottenere in cambio utilità economiche e favori politici”.
Nel processo era stato condannato a sette anni e quattro mesi Antonio Candela, ex manager dell’Asp di Palermo ed ex responsabile della cabina di regia regionale per il contrasto al Covid in Sicilia.
Unico assolto per non avere commesso il fatto fu Angelo Montisanti, responsabile operativo per la Sicilia della società Siram, difeso dagli avvocati Marcello Montalbano e Claudio Livecchi.
“Scenario inquietante”
“Un inquietante scenario – si leggeva nelle motivazioni della Corte di appello presieduta da Adriana Piras, giudice relatore Mario Conte, – in cui alti dirigenti dell’Asp, incaricati di gestire appalti multimilionari, dispongono delle proprie funzioni, abusandone, al fine di ricattarsi vicendevolmente, trattando le relative procedure (anche legali e di controllo) in maniera personalistica ed apparentemente in totale dispregio degli interessi pubblici che invece dovrebbero perseguire».