Da Palamara ad Amara: nuovo scandalo e spunta la loggia "Ungheria"

Da Palamara ad Amara: nuovo scandalo e spunta la loggia “Ungheria”

Dossier, ricatti e favori: l'avvocato siciliano al centro di un nuovo caso

Non è ancora finito il Palamara gate e la magistratura fa i conti con un nuovo scandalo. Al centro della vicenda ci sono i verbali di interrogatorio che, tra la fine del 2019 e i primi mesi del 2020, vengono resi ai pubblici ministeri di Milano dall’avvocato Piero Amara, legale esterno dell’Eni, condannato per il cosiddetto “Sistema Siracusa”.

Amara ha già patteggiato una condanna per corruzione in atti giudiziari. La Procura di Messina aveva scoperto che l’avvocato era capace di pilotare indagini e sentenze attraverso una rete di amici e in cambio di tangenti.

Ora Amara ritorna con prepotenza al centro di una storia di depistaggi e ricatti. Ci sono due nuove inchieste, una della Procura di Roma e l’altra della Procura di Perugia. Quest’ultima è la più delicata.

I verbali di Amara sono stati raccolti dai pubblici ministeri di Milano Laura Pedio e Paolo Storari. Sono gli stessi pm che rappresentavano l’accusa al processo di primo grado, che si è chiuso con l’assoluzione degli imputati, sull’acquisto nel 2011 da parte di Eni di una licenza petrolifera dal governo della Nigeria. In quel contesto è stata ipotizzata l’esistenza di un depistaggio organizzato da Amara per favorire i manager dell’Eni. All’avvocato sarebbero arrivati 25 milioni di euro affinché tacesse sul loro coinvolgimento nelle attività di “inquinamento probatorio” ai tempi in cui era in combutta con il pm siracusano Giancarlo Longo.

In questo contesto Amara ha fatto ulteriori e sconvolgenti rivelazioni. Ad esempio ha rivelato di far parte di una loggia massonica, denominata “Ungheria”, assieme ad alcuni importanti magistrati, tra cui Sebastiano Ardita (oggi al Csm); ha sostenuto che l’ex premier Giuseppe Conte avrebbe ottenuto grazie alla sua intercessione 400 mila euro di consulenze dalla società Acqua Marcia nel 2012; ha ricostruito un reticolo di favori fatti una sfilza di magistrati.

I verbali sono stati secretati, ma il segreto è caduto presto. Il pm Storari li ha fatti avere a Piercamillo Davigo, all’epoca ancora al Csm. Era emersa una spaccatura a Milano. Storari avrebbe chiesto ai vertici dell’ufficio della Procura, anche per iscritto, di effettuare delle iscrizioni nel registro degli indagati per andare a verificare le dichiarazioni di Amara. Non ricevendo risposte, il pm milanese, come forma di autotutela, decise di consegnare i verbali a Davigo.

Nel frattempo, stavolta in forma anonima e senza alcuna prova di autenticità, gli stessi verbali sono stati recapitati ad un altro consigliere del Csm Nino Di Matteo (che subito lo ha denunciato pubblicamente) e ai giornali: Domani (che li ha pubblicati), Fatto Quotidiano e Repubblica. Chi li avrebbe messi in circolazione? L’ipotesi è che sia stata Marcella Contrafatto, un’impiegata del Csm nella segreteria di Davigo. Ed è finita sotto inchiesta.

Ardita, oggi consigliere togato del Csm ed ex procuratore aggiunto a Messina e Catania, persona che gode di grande stima, non ha perso tempo e ha smentito Amara punto su punto ai pm di Perugia. Amara ha commesso due errori pacchiani: lo ha indicato come pm a Catania del 2006, quando lui era già al Dap a Roma, e ne ha descritto i rapporti strettissimi con Gianni Tinebra, ex capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, ora deceduto. Sin dal 2005, però, era nota alle cronache, la fortissima spaccatura fra Ardita e Tinebra.

“Le dichiarazioni che riguardano il consigliere Sebastiano Ardita sono palesemente calunniose – ha spiegato Di Matteo all’agenzia Ansa – La loro falsità è facilmente riscontrabile. L’illecita diffusione di quei verbali anche all’interno del Consiglio superiore rappresenta un vero e proprio dossieraggio volto a screditare il consigliere Ardita e a condizionare l’attività del Csm”.

Ed ecco il cuore del nuovo scandalo: perché Amara irrompe sulla scena? Chi c’è dietro il dossieraggio? Amara è finito pure nell’affaire Palamara. L’ipotesi è che il potente ex presidente dell’Anm avrebbe indirettamente fatto avere all’avvocato siciliano notizie riservate sulle indagini aperte nei suoi confronti a Roma e Messina.


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