PALERMO – È arrivato davanti ai giornalisti indossando una felpa. Con l’aria di chi si è appena alzato dalla scrivania, dove tornerà presto a lavoro, dopo aver dato notizia dei clamorosi risultati raggiunti. Al di là del look casual, però, Antonio Fiumefreddo indossa oggi un altro abito. È investito di un altro ruolo. È il nuovo “sceriffo” di Palazzo d’Orleans. Come piace al governatore.
Che non a caso, per la guida di Riscossione Sicilia aveva inizialmente pensato a chi “il fiuto sbirresco”, per dirla con le parole di Crocetta, lo ha lungamente tenuto in esercizio nella propria attivtà di pm: Antonio Ingroia. Una nomina, quella, saltata di fronte al veto del Csm. Quindi, la soluzione Lucia Di Salvo, fino alle dimissioni. E all’arrivo di Antonio Fiumefreddo. Che alcuni mesi fa a Crocetta non piaceva. Incomprensioni, per carità. Qualche malinteso presto accantonato, visto che il governatore, di Fiumefreddo voleva farne persino un assessore. Ma in quei giorni arrivò il veto durissimo di buona parte del Pd, oltre che di altri alleati: Fiumefreddo no, proprio no. Una designazione, quella dell’avvocato catnaese, voluta da una parte dei Drs di Totò Cardinale. Quella che faceva riferimento, in particolare, al deputato etneo Marco Forzese. Unito con Fiumefreddo da una “sentita” e tutto sommato mai esibita apertamente fino a epoca recentissima, “vocazione antimafia”. Rispolverata anche in occasione della roboante conferenza stampa con la quale si è annunciata una mega-evasione di 800 mega-evasori. Segnalati, a dire il vero, dall’Agenzia delle entrate. Ma di fronte ai quali, ecco l’accelerazione di Fiumefreddo, in passato gli agenti di riscossione erano stati più morbidi, o quantomeno distratti. E così, il duo Crocetta-Fiumefreddo ha promesso quella che è una vera e propria “operazione sociale”.
Da Robin Hood della Trinacria: togliere ai ricchi (e disonesti) per dare ai poveri (tramite l’istituzione del reddito di cittadinanza). Se sarà così, ovviamente, i siciliani onesti ringrazieranno. Intanto, però, mentre il miliardo da recuperare, quello che alzerebbe il Pil di 1,25 per cento, si è sgonfiato, nel corso della conferenza stampa in duecento milioni (per carità, vengano recuperati e al più presto) e mentre i riferimenti a possibili riciclaggi e prestanome dovranno essere vagliati dalla Procura guidata da Francesco Lo Voi, governatore e “sceriffo” hanno puntellato il rivoluzionario annuncio da quel riferimento: i settori maggiormente coinvolti sono quelli che storicamente hanno subito le infiltrazioni mafiose.
E in effetti, al di là dei conti, per l’ex soprintendente che sposò inizialmente l’epopea dell’autonomista Raffaele Lombardo (poi condannato per mafia, ci risiamo), il “tema centrale” è diventato da un po’ di tempo proprio quello. Da lì, probabilmente, le affinità elettive col governatore. E la mafia, insieme alla pietas cristiana, fu tirata fuori proprio in occasione del “siluramento” di Fiumefreddo a un passo dalla giunta regionale. Erano non meglio precisati ambienti e personaggi che ruotavano attorno a Cosa nostra a essersi messi di traverso, impedendo l’approdo al governo di Fiumefreddo. La mafia, l’antimafia e Crocetta. Nei mesi scorsi, il presidente di Riscossione Sicilia si è anche avvicinato al Megafono, il movimento del governatore, dove ricoprirebbe ruoli dirigenziali in provincia di Catania. Con la benedizione, anche, del senatore Beppe Lumia.
A volerla dire tutta, però, ad attaccare Fiumefreddo in passato fu proprio qualche politico catanese del Pd. E la mafia non c’entra. C’entra, semmai, l’amministrazione. È il caso ad esempio del deputato regionale Concetta Raia, secondo la quale Fiumefreddo “non fu particolarmente brillante nella gestione del Bellini”. Il teatro del quale l’avvocato fu per qualche anno soprintendente negli anni ruggenti di Raffaele Lombardo. Dubbi sollevati anche da altre forze politiche, come il Movimento cinque stelle: “I danni al Bellini di Catania procurati da Fiumefreddo – dissero i grillini – sono ancora visibili”.
Tutte accuse ovviamente da verificare e che rientrano nel solito gioco delle parti. Un gioco che si complica ancora un po’, se si prova ad andare indietro di un anno e mezzo circa. Era il settembre del 2013, quando proprio Crocetta allungò ombre sulla gestione e sulle spese del teatro da parte di Fiumefreddo: “Sono stati fatti dei regali? A chi? Vogliamo saperlo”. Una polemica che innescò una replica anche un po’ piccata “Mi sarei atteso – ha scritto Fiumefreddo in una lettera pubblicata integralmente da Livesicilia il giorno dopo le dichiarazioni di Crocetta – maggiore prudenza da un uomo accorto come il governatore. Mi piacerebbe anche suggerire a Crocetta di seguire il mio esempio e quindi di assumere sul suo conto corrente le spese relative ai doni che la Regione giustamente offre agli ospiti, ma non mi risulta che lo faccia”. Una polemica sui conti. Quasi un presagio.
Se il presidente ha seguito i consigli dell’avvocato non è dato sapere. Resta il fatto che i due ormai sembrano vivere una totale sintonia. Messa frequentemente “nero su bianco” dallo stesso Fiumefreddo sulle pagine di una testata della quale è stato (è ancora?) nella posizione di editore, finanziatore o sponsor. Dalle pagine di quel sito, Fiumefreddo punta l’indice contro tutto ciò che è “anti-Crocetta”. E che è ovviamente, torbidamente intrecciato con la mafia, il malaffare e la corruzione. Oltre a rappresentare la strenua resistenza di un passato da cancellare. Un passato, però, sul quale Fiumefreddo ha ampiamente navigato, prima al fianco del berlusconiano Umberto Scapagnini, poi con quel Raffaele Lombardo che difese strenuamente anche in occasione di una trasmissione televisiva nazionale, prima di prenderne le distanze. Adesso, molti di quegli uomini politici e del mondo imprenditoriale passeranno dalle sue mani. Dalle mani dello “sceriffo” che una volta non piaceva, ma oggi piace, e tanto, al presidente Crocetta.