“In pratica la corte si è attenuta a quanto dettato dalla sentenza della Cassazione: non ha quindi permesso nessun allargamento del processo a nuove fonti di prova”. È questo il commento del sostituto procuratore generale di Palermo Luigi Patronaggio dopo la decisione dei giudici del processo d’appello bis contro Marcello Dell’Utri, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. La corte presieduta da Raimondo Lo Forti ha infatti rigettato la richiesta di Patronaggio di ascoltare in aula Silvio Berlusconi come teste dell’accusa. Secondo i giudici le dichiarazioni dell’ex premier non sarebbero “nè indispensabili né decisive” ai fini della sentenza. Secondo la corte i pagamenti fatti da Berlusconi a Cosa Nostra e il ruolo di Vittorio Mangano nella villa di Arcore sarebbero infatti già “ampiamente comprovati”.
Berlusconi era già stato sentito nel 2002 nel processo di primo grado, ma davanti ai giudici (che si erano trasferiti a Palazzo Chigi per interrogarlo dato che all’epoca il cavaliere era presidente del consiglio) si era appellato alla facoltà di non rispondere essendo indagato di reato connesso.
Questa volta Patronaggio aveva chiesto di sentirlo come testimone. La stessa veste in cui sarà probabilmente ascoltato la settimana prossima dalla procura di Palermo. I magistrati Antonio Ingroia, Nino Di Matteo, Lia Sava e Paolo Guido hanno infatti aperto una nuova indagine a carico di Dell’Utri per estorsione .
Per la corte del processo d’appello bis, però, i passaggi di denaro tra l’ex premier e Dell’Utri sarebbero irrilevanti. E sarebbero irrilevanti anche le testimonianze dei boss Filippo e Giuseppe Graviano e dei pentiti Stefano Lo Verso e Giovanni Brusca. Le dichiarazioni dell’ex capomafia di San Giuseppe Jato sulla Trattativa Stato – mafia sono state definite contraddittorie dai giudici, che hanno disposto soltanto l’acquisizione di alcuni verbali in cui il collaboratore di giustizia parla di estorsioni subite da Berlusconi.
Sarà invece ascoltata la deposizione del banchiere Giovanni Scialabra, direttore generale della Banca Popolare di Palermo, che aveva raccontato di una richiesta di prestito di 20 miliardi di vecchie lire, ricevuta da “Vito Ciancimino e Marcello Dell’Utri nel 1986 per le aziende di Silvio Berlusconi ”.
Alla fine dell’udienza Patronaggio ha sottolineato come sul processo incomba “il pericolo della prescrizione, specie se risulterà l’interruzione della condotta ascritta a Dell’Utri”. La sentenza della Cassazione, che nel marzo scorso aveva annullato la condanna di secondo grado a 9 anni di carcere per Dell’Utri, aveva messo il bollo sulla collaborazione di Dell’Utri con Cosa Nostra fino al 1977. Gli ermellini però avevano chiesto di dimostrare il reato ascritto a Dell’Utri anche per gli anni successivi, fino al 1992. Ergerebbere però un “buco” nella condotta del senatore del Pdl tra il 1977 e il 1982, periodo in cui Dell’Utri lasciò Pubblitalia andando a lavorare per l’imprenditore Filippo Alberto Rapisarda. Nel caso in cui l’accusa riuscisse a dimostrare la continuità del reato senza interruzioni fino al 1992, la prescrizione scatterebbe il 30 giugno del 2014. In caso contrario invece sarebbe già cosa fatta