CATANIA – “No, non ho corrisposto alcuna somma di denaro a Giovanni Ruggeri”. Quando la squadra mobile pronuncia il nome di Ruggeri, cognato del boss Nuccio Ieni, Filippo Di Martino, uno dei titolari del colosso degli autotrasporti Di Martino, nega di aver pagato il pizzo. Lo fa mentendo, tanto che “i verbalizzanti fanno presente – si legge negli atti – che le dichiarazioni rese risultano reticenti e contrastanti con i riscontri investigativi”. Si tratta di un passo importante delle sommarie informazioni rese dall’imprenditore dopo l’arresto di Ruggeri, successivamente dirà la verità collaborando con gli investigatori. Suo fratello Angelo, nel 2021 vicepresidente di Confindustria Catania, si è dimesso pochi giorni fa dalla presidenza, conquistata nel 2023, anche lui è stato interrogato, ricordando di aver denunciato gli estorsori 20 anni fa e non solo. Tutti elementi che sono serviti agli inquirenti per incastrare il clan Pillera-Puntina, all’interno dell’inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto Ignazio Fonzo e affidata ai magistrati Fabio Saponara e Assunta Musella. Ecco cosa ha rivelato Filippo Di Martino. o.
L’antefatto idilliaco
“Confermo che stamattina è venuto presso la sede della F.lli Di Martino S.p.a. il signor Giovanni Ruggeri per scambiarci gli auguri di Natale. Aspettavo Ruggeri perché ieri ci siamo sentiti per telefono concordando di vederci stamattina”. Le prime parole dell’interrogatorio contengono la descrizione di un incontro tra amici. “Con lo stesso – aggiunge Di Martino – abbiamo sorbito un caffè e poi ci siamo spostati nel piazzale per fumare la sigaretta. Quindi, lì ci siamo salutati e Giovanni Ruggeri è andato via”. A questo punto l’imprenditore fa una precisazione e rivela che nell’azienda di famiglia lavora un uomo “che ho saputo essere un nipote di Giovanni Ruggeri, per avermelo detto lui stesso”. Il dipendente era prima un addetto al lavaggio dei mezzi, ma poi, per una certificazione medica, è stato “assegnato ai contrrolli dei mezzi in entrata e uscita”, aggiunge l’imprenditore. Dal cognato del boss, Di Martino precisa di non avere mai acquistato alcunché, ma di avere un accordo commerciale per il ritiro del metallo dall’azienda, accordi che ci sono anche con altre ditte.
La bugia e l’invito della polizia
Deve essere calato il gelo durante l’interrogatorio. “Filippo Di Martino – annota la polizia – viene invitato a rispondere secondo verità, poiché dichiarare il falso o essere reticenti configura il reato di favoreggiamento personale aggravato, poiché commesso a favore di soggetti appartenenti ad organizzazione mafiosa”. A quel punto l’imprenditore si concede “un’ampia riflessione”. Subito dopo, inizia a parlare dei dettagli.
Di Martino dice la verità
“Intendo rispondere secondo verità. Sì stamattina ho consegnato la somma di 4.000 euro (composta da 80 banconote da 50,00 euro) a Giovanni Ruggeri a titolo di protezione da parte del
clan mafioso a cui fa riferimento”. L’imprenditore ammette di pagare il pizzo da 20 anni e di corrispondere, “due volte l’anno”, 4 mila euro agli estorsori della mafia: a Pasqua e Natale. Il pagamento del pizzo sarebbe iniziato, secondo il racconto di Di Martino, dopo il furto di alcuni mezzi. “Dopo qualche giorno – dice – si sono presentati dei soggetti i quali hanno chiesto del denaro per sovvenzionare le famiglie dei detenuti del loro clan”. Poi la polizia ha piazzato le telecamere, arrestato gli estorsori e l’onda lunga è arrivata ai piani alti di Confindustria. Ma si tratta di questioni etiche, secondo quanto risulta a LiveSicilia, i fratelli Di Martino non sono indagati.