Mi è consentito dire, pur con tutto il rispetto, che il dibattito all’interno del PD, in particolare siciliano, dopo la sonora batosta elettorale alle elezioni politiche e regionali del 25 settembre scorso annoia mortalmente? Mi è consentito pensare che sarà assai difficile vedere un Partito Democratico davvero rifondato, capace di recuperare elettori e iscritti interrompendo l’emorragia di voti che dura ormai da anni? Si esclamerà, specialmente dalla bocca di qualche gallonato piddino, “ecco il solito disfattista, ecco il solito criticone”.
Vi invito a leggere il seguente virgolettato: “… Io non posso accettare che il PD si mostri incapace di costituire un serio punto di riferimento in dialogo permanente con i giovani, le imprese e le famiglie per essere, invece, un pantano indistinto, reso tale da varie operazioni di riciclaggio di vecchio ceto politico per contabilizzare una poltigliosa sommatoria di voti. Un partito, il PD, in cui la classe dirigente al timone è inamovibile…in cui prevalgono nefaste logiche correntizie, in cui pesano i pacchetti di tessere e i baroni del consenso organizzato e d’apparato”. Si tratta di uno stralcio della mia lettera pubblica, mi scuso per l’auto citazione, con la quale comunicavo la mia uscita dal PD. La data? Ottobre 2015. Sì, avete letto bene gentili lettori, ottobre 2015. Sette anni fa!! Ero entrato nel PD nel 2014 abbagliato dalla novità di uno sfavillante segretario nazionale, Matteo Renzi, finalmente non appartenente alle nomenclature del vecchio PCI e della vecchia DC, anche per l’elemento anagrafico. Immaginavo, sbagliando di brutto, che con Renzi avremmo avuto il PD frutto non di una fusione a freddo di apparati ma di una virtuosa mescolanza di diverse culture di sinistra con quella cattolico-democratica, rinnovato nella sua classe dirigente – vi ricordate il verbo di moda a quel tempo “rottamare”? – e, soprattutto, nei suoi metodi. La mia infatuazione durò da sera a mattino. Mi accorsi subito, guardando alle vicende del PD siciliano, che non solo sarebbe rimasta la medesima classe dirigente, che non solo non sarebbe cambiato nulla nei metodi ma che, addirittura, si voleva fare spazio a personaggi assai discutibili provenienti da ogni dove e a logiche di palazzo contro cui avevo da sempre combattuto. Naturalmente alla mia lettera, l’arroganza purtroppo non mancava e non manca, non seguì alcuna riflessione, alcun tentativo di discussione sulle questioni messe drammaticamente sul tappeto. Sono trascorsi 7 anni. In questi 7 anni cos’è successo?
Niente, assolutamente niente. Il PD ha continuato a perdere voti, a perdere iscritti ma ha mantenuto, nella sostanza, gli stessi dirigenti – eppure mi pare che esista un limite al numero dei mandati nel suo statuto regolarmente ignorato o derogato – e il vizio del correntismo condito, spregiudicatamente, con l’ingresso periodico di noti volponi “acchiappavoti”, è avvenuto nel passato, adusi a cambiare casacca e a utilizzare i partiti, di destra o sinistra non importa, come contenitori a convenienza, con il risultato di annacquare un’identità politica, ideale e programmatica già di per sé difficile da decifrare, regionalmente in Sicilia e nazionalmente. Le mie perplessità, pertanto, poggiano sull’esperienza personale e sulla storia recente non certo su una tentazione disfattista o qualunquista.
Anzi, ritengo, al di là degli errori compiuti in questi ultimi mesi dal PD di Enrico Letta che hanno spalancato le porte del potere alle destre, che sia necessario per la nostra democrazia un soggetto politico di sinistra che sappia parlare ai cittadini sfiduciati di lavoro, di fine del precariato e dei salari da fame, delle difficoltà di famiglie e imprese, dei diritti calpestati o dimenticati delle donne e dei giovani, della costruzione di una Europa solidale, della lotta alle mafie e alla corruzione, dell’ambiente, della pace. Temi portati avanti adesso, piaccia o meno, dal M5S di Giuseppe Conte. Però, una cosa è fondamentale in casa PD per ripartire e rendersi credibili: chi ha provocato i disastri elettorali di ieri e di oggi deve andare via dalla stanza dei bottoni, deve sgombrare il campo, sennò stiamo parlando di aria fritta.