PALERMO- Fiumi di hashish e cocaina arrivavano a Palermo tramite due corrieri stranieri, uno spagnolo ed uno olandese, e venivano gestiti dai clan mafiosi dello Sperone e di Brancaccio. Gli intermediari si muovevano invece nelle città di Bologna e Napoli, confermando per l’ennesima volta come il capoluogo campano sia fonte d’approvvigionamento per le piazze di spaccio palermitane dietro le quali si cela Cosa nostra. Una vera e propria organizzazione internazionale di trafficanti di sostanza stupefacente è stata sgominata dai poliziotti della sezione Antidroga della squadra mobile, in collaborazione con la Direzione centrale Servizi antidroga e la Direzione centrale Anticrimine, dando esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelate in carcere emessa dal gip Riccardo Ricciardi sulla richiesta della Dda di Palermo, nei confronti di dieci persone.
Sei i palermitani arrestati nel corso dell’operazione “Letium 2”, seguito del blitz del 2009 durante cui vennero a galla pure i luoghi d’incontro degli spacciatori. Tra questi, il ristorante “Letiom” di piazza Don Bosco, di cui era socio Sergio Leta, noto istruttore sportivo palermitano di 35 anni che fu colto in flagranza di reato e ai tempi arrestato. Nel secondo filone dell’indagine a finire in manette sono: Antonino Palazzotto, 44 anni, Salvatore Inzerra, 45 anni, Agata Fragali, 61 anni, Antonino Sala, 28 anni; Rosa Fragale, 52 anni e Francesco Purì. Vincenzo Di Guida, 41 anni, appartiene invece alla banda che faceva capo alla fonte di approvvigionamento napoletana, insieme a Luigi Ronga, 33 anni. Josè Ramon Castro Pena, 42 anni, spagnolo, era d’altro canto, uno dei referenti per i canali stranieri della droga da importare, processo durante il quale veniva coinvolta anche la città di Bologna, città di cui è originario Raul Tassinari, 37 anni, pure lui finito in arresto nel corso del blitz.
Operazione che nasce quindi dai movimenti di Leta, che tre anni fa comincia a ricevere telefonate – al ristorante ma anche sul proprio cellulare – da parte i clienti della Palermo bene che richiedono la droga. E così, “un tavolo da cinque” indicava una determinata quantità di cocaina, così come gli altri tipi di ordinazioni rigorosamente in codice. Ed è proprio attraverso i suoi contatti che vengono a galla i nomi di Inzerra e di due corrieri stranieri, tra cui lo spagnolo Castro Pena. Inzerra risulta subito un “veterano” nel traffico della droga: una vecchia conoscenza delle forze dell’ordine, coinvolto a giugno, nell’operazione “Monterrey”. In quel caso Inzerra collaborò all’importazione del “forno della droga” che custodiva cinque quintali di cocaina provenienti dal Messico. E Inzerra è lo stesso che gli inquirenti definiscono come uno dei principali referenti della droga legato alla famiglia mafiosa di Brancaccio. Più di centoquindici, invece, i chili sequestrati, tra hashish e cocaina.