Le elezioni europee si avvicinano e nelle nostre città appaiono i primi manifesti elettorali. Ancora non moltissimi, in verità, ma sufficienti per fare le prime riflessioni. Lo slogan più bello, tra quelli apparsi fino a questo momento, è: “andiamo in Europa a fare scruscio!”
Lo “scruscio” e i fatti
Denso di contenuti, chiaro nella visione, profondo negli ideali. Ma non è male neanche lo slogan podistico: “corriamo per una nuova Europa!” A parte l’esercizio ginnico, con quali obiettivi? In che modo la nuova Europa sarà diversa dalla precedente? Almeno il primo candidato vuole andare a fare scruscio, ma quest’altro?
Forse potrebbe confrontarsi con chi propone: “l’Italia cambia l’Europa!” Magari insieme potrebbero mettere giù qualche idea con cui sviluppare il cambiamento verso la nuova Europa. E potrebbe anche aiutarli chi esclama: “per l’Europa dei fatti!” E non delle parole, si intende…
Frasi fatte, poca sostanza
Insomma, un livello di frasi fatte, di proclami senza sostanza, di mancanza di visione da far ergere a monumento politico lo storico slogan di un politico democristiano di primissimo piano al momento della sua candidatura alle elezioni per il Parlamento Europeo verso la fine degli anni ’70: “La Sicilia ha bisogno dell’Europa, l’Europa ha bisogno della Sicilia”.
Almeno, in quel caso, nella prima parte dello slogan si riconosceva l’importanza, quasi la necessità della politica europea di sviluppo e coesione per la crescita delle regioni a minor tasso di crescita, tra le quali certamente la Sicilia.
Tra qualunquismo e populismo
Tralasciamo, naturalmente, il modo in cui i fondi europei sono stati utilizzati in Sicilia a quel tempo, ma anche fino ad oggi (a proposito, presidente Schifani, è mai possibile che la Sicilia sia rimasta tra le ultime tre a livello nazionale a dover ancora firmare l’accordo sul Fondo Sviluppo e Coesione con il Governo nazionale?).
Ma almeno un messaggio politico c’era. Oggi, a giudicare dai manifesti, si vuole fare scruscio, si vuole correre, cambiare. Che cosa? In quale direzione? Non è dato saperlo. Tra il qualunquismo ed il populismo.
Il messaggio di Draghi
Eppure… eppure, in questo delirio, arriva Mario Draghi. Che nel suo discorso dal palco di La Hulpe, sobborgo di Bruxelles, riapre il cuore alla speranza. All’Europa serve un cambiamento radicale, sostiene Draghi, perché è il mondo che sta radicalmente cambiando con la grande sfida geopolitica, tecnologica ed economica tra gli Stati Uniti e la Cina.
Se in passato – dice l’ex premier – era stato possibile confidare “nella parità di condizioni globali e nell’ordine internazionale basato sulle regole, oggi Stati Uniti e Cina stanno elaborando politiche che nella migliore delle ipotesi sono progettate per reindirizzare gli investimenti verso le loro economie a scapito delle nostre; e nel peggiore dei casi per renderci permanentemente dipendenti”.
La cooperazione rafforzata
La globalizzazione ed il clima di fiducia tra diversi Paesi, purtroppo, è finito e i big player mondiali hanno ripreso a sostenere le proprie economie con aiuti di stato e varie forme di protezionismi. In queste condizioni nessun Paese europeo è in grado di ripristinare la propria competitività da solo, peggio ancora combattendosi a vicenda.
La situazione mondiale “ci impone di agire come Unione europea in un modo mai fatto prima”. Occorre un “rinnovato partenariato”, “un nuovo strumento strategico per coordinare le politiche economiche”, “una cooperazione rafforzata”.
Sovranismo sì ma europeo
Nessun Paese europeo può combattere da solo le sfide della transizione digitale ed ecologica, nessuno può competere da solo sui microchip o sulle batterie elettriche per le automobili, giusto per fare due esempi. Da soli si rischia di rimanere nelle condizioni di una permanente dipendenza. E’ il manifesto degli Stati Uniti d’Europa, nello spirito di quel sovranismo, ma europeo, di cui ho già parlato qualche giorno fa.
Sentendo parlare Draghi, il mio pensiero è corso ad inizio estate 2022, ad un treno diretto verso Kiev con i leader di tre paesi europei: Draghi appunto, Macron e l’appena eletto Scholz, che andavano a portare il sostegno dell’Europa all’Ucraina invasa dalla Russia. Credo sia stato uno degli ultimi momenti in cui l’Europa parlava con una sola voce, esprimeva una visione, manifestava il suo ruolo politico nel contesto internazionale.
Di lì a pochi giorni il cinico calcolo di Conte, insieme all’opportunismo di Berlusconi e della Meloni avrebbe provocato la caduta di Draghi e fatto precipitare l’Italia in un governo di destra-destra. Ma, in qualche modo, avrebbe anche bruscamente interrotto un clima di illuminata collaborazione europea e fatto ripiombare il Continente nella contrapposizione tra nazioni, ridando voce e tribuna a particolarismi e populismi.
Già una volta l’Italia ha girato le spalle a Draghi e i risultati si sono visti. Speriamo che la storia non si ripeta. Che non prevalga ancora la logica dello scruscio…
*L’autore è componente dell’Esecutivo siciliano di Italia viva