PALERMO – Avrebbe dovuto rappresentare il puntello di coalizioni traballanti che si apprestano ad affrontare elezioni regionali in cui incombe più che mai lo spettro del Movimento cinque stelle. Avrebbe dovuto impersonare quel valore aggiunto capace di dare slancio a quegli schieramenti pronti a contendersi i voti di uno dei tanti vessilli centristi della galassia politica. Angelino Alfano, invece, sembra avere sortito effetti opposti a quelli sperati. La sua Alternativa popolare assomiglia sempre di più alla classica mela lanciata sui tavoli del centrodestra e del centrosinistra con l’unico effetto di aumentare ulteriormente il tasso di litigiosità dei commensali.
È il vecchio e annoso problema della coperta corta. Lo sa bene Silvio Berlusconi, costretto a scendere in campo in prima persona per le elezioni siciliane che vedono il suo uomo nell’Isola, Gianfranco Miccichè, in difficoltà nella quadratura del cerchio. L’ex Cavaliere ha rivelato a Il Mattino di avere “un sogno” per la Sicilia: “Un centrodestra coerente e inclusivo”, che comprenda anche e soprattutto il delfino di un tempo Angelino Alfano. Un auspicio rivelato alcuni giorni fa allo stesso ministro degli Esteri, nel corso di una telefonata, ma che ha trovato ancora una volta il fuoco di sbarramento di Fratelli d’Italia, sponsor dell’operazione Musumeci: “Sono d’accordo sul fatto che occorra costruire un centrodestra capace di rappresentare lo scontento e il cambiamento – ha risposto Giorgia Meloni – ma considero impossibile farlo insieme a chi governa la Sicilia insieme a Crocetta e l’Italia insieme a Renzi. Per come la vedo io, è questo il teatrino della politica che nausea gli elettori, non certo chi chiede serietà e coerenza”. Strada sbarrata, dunque, ad Alfano, a Palermo quanto a Roma, e addio sogni di compattezza per il centrodestra che con il pensiero anche alle Politiche non vuole perdere l’alleato nordista Matteo Salvini.
Ingredienti diversi ma effetto analogo per il centrosinistra, che sembra essere il lido prescelto da Alfano anche a costo di scontentare qualche luogotenente siciliano ancora affascinato dall’idea di rimettere in piedi un centrodestra a trazione berlusconiana. Il segretario regionale del Pd Fausto Raciti ha aperto le braccia ad Alternativa popolare (“abbiamo vinto insieme a Palermo e condiviso un pezzo di strada nel corso della legislatura regionale, ora è arrivato il momento di scrivere insieme il programma e definire la proposta con la quale affrontare le prossime elezioni regionali”) causando la reazione stizzita della sinistra, poco amata dalle parti del Nazareno. Sinistra italiana e i bersaniani di Articolo 1 sono stati molto chiari: con l’intesa Alfano-Pd si riproporrebbe quel “sistema di potere che ha caratterizzato il governo Crocetta”. Parole indirizzate formalmente a Leoluca Orlando, con cui è in piedi da tempo un ragionamento comune, ma che hanno rappresentato anche un segnale chiaro al Pd.
Fredda, se non glaciale, la reazione del ‘professore’ all’ingresso degli alfaniani nella coalizione. A Palermo, sotto le insegne del ‘civismo politico’, l’intesa è andata in porto con gli ex Ncd ‘nascosti’ in quel contenitore elettorale denominato ‘Democratici e popolari’ che aveva in pancia anche gli esponenti dem e i centristi di D’Alia: quel “campo largo” evocato dai dem, secondo il professore, non è automaticamente replicabile per Palazzo d’Orleans se non con la certezza di una “chiara e credibile discontinuità rispetto ai disastri e alla irresponsabilità che la Regione ha prodotto in questi anni”. Parole e musica di Fabio Giambrone, braccio destro del sindaco di Palermo che ha più volte ribadito di non avere alcuna intenzione di partecipare a progetti politici che non abbiano al primo posto la rottamazione dell’esperienza Crocetta. Quello di Giambrone è l’ultimo distinguo in ordine di tempo in attesa che la mela decida da quale lato cadere.