PALERMO – Sono 376 i detenuti a cui sono stati concessi i domiciliari, oppure trasferiti in strutture esterne al carcere. Nell’ultimo mese e mezzo molti hanno ottenuto il beneficio del differimento dell’esecuzione della pena per motivi di salute indipendentemente dall’emergenza Coronavirus, altri perché, alla luce delle loro patologie, un eventuale contagio potrebbe essere fatale. La maggior parte ha ottenuto il beneficio a termine e dunque rientrerà in carcere quando finirà l’emergenza sanitaria. ll ministro della Giustizia Alfonso Bonafede sta studiando una norma che consentirebbe ai magistrati di sorveglianza di rivalutare le scarcerazioni alla luce del mutato quadro dell’emergenza Coronavirus. Le decisioni spettano sempre e comunque alla magistratura che ha anche detto no a decine e decine di istanze (di cui nulla si conosce), tra cui, solo per fare gli esempi principali, quelle del boss della nuova cupola Settimo Mineo, del catanese Nitto Santapaola e del fratello di Totò Riina, Gaetano.
Il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, quando era ancora guidato dal dimissionario Francesco Basentini, aveva preparato una lista che è stata girata alla Commissione parlamentare antimafia solo mercoledì scorso. Ci sono i detenuti, circa 180, che stanno scontando una condanna definitiva e dunque sono trasferiti in detenzione domiciliare o affidati ai servizi sociali, mentre gli altri sono agli arresti domiciliari in attesa della sentenza di primo grado (la maggior parte), o di appello o di Cassazione.
Erano detenuti al 41 bis, il regime de carcere duro riservato ai capimafia, solo tre dei 376: il camorrista Pasquale Zagaria (che starà a casa cinque mesi perché al Tribunale di Sorveglianza il Dap non ha indicato in tempo una struttura sanitaria carceraria idonea ad accoglierlo e a curare la patologia di cui soffre), il palermitano Francesco Bonura (affetto da tumore e scarcerato in base ad una legge precedente al decreto ‘Cura Italia’ del governo per diminuire la popolazione carceraria e contenere il rischio Coronavirus) e lo ‘ndranghetista Vincenzo Iannazzo.
Restando in Sicilia ci sono tre ergastolani in detenzione domiciliare: il carceriere del piccolo Di Matteo, Cataldo Franco; il padrino di San Michele di Ganzaria, Francesco La Rocca, fondatore della famiglia mafiosa di Caltagirone (vicino ai corleonesi e schierato con Bernardo Provenzano, La Rocca è citato anche in alcuni dei famosi pizzini trovati nel covo di Montagna dei cavalli); il killer ergastolano Antonino Sudato, mafioso siracusano del clan Nardo-Aparo che avrebbe partecipato alla guerra di mafia della sua zona negli anni dal ’90 al ’94.
Dell’elenco dei 376 nomi “eccellenti” della mafia palermitana c’è Antonino Sacco, uno dei triumviri che aveva preso il potere a Brancaccio, feudo dei fratelli Graviano, boss stragisti. Sacco si trova in detenzione domiciliare. Non è a casa sua in Sicilia, ma sta seguendo un percorso di riabilitazione nel Nord Italia in una struttura al di fuori del carcere, ma sotto stretta vigilanza. Arrestato nel 2011 Sacco sta scontando una condanna a 15 anni e 4 mesi, a cui vanno detratti i giorni di liberazione anticipata riconosciuti a tutti i detenuti per buona condotta.
Detenzione domiciliare pure per Rosalia Di Trapani, moglie settantenne del boss Salvatore Lo Piccolo e madre di Sandro, entrambi ergastolani. Di Trapani nel 2018 è stata condannata a 8 anni con sentenza definitiva per un’estorsione aggravata dal metodo mafioso. La donna è gravemente malata. C’è poi il nome di Vito D’Angelo, classe 1948, mafioso di Favignana, isola trapanese, che di fatto torna ai domiciliari dopo che nell’ottobre scorso gli erano stati revocati. Scarcerato allora per motivi di salute aveva riattivato i contatti con alcuni esponenti mafiosi trapanesi di spicco. Da qui la revoca dei domiciliari.
Gli arresti domiciliari sono stati concessi anche a Gino Bontempo, arrestato lo scorso gennaio nel blitz contro mafia dei pascoli sui Nebrodi. Bontempo aveva già finito di scontare una condanna per mafia. Ora si trova in custodia cautelare in carcere. Per chi è in attesa di giudizio il ministero della Giustizia non ha alcuna competenza, ma le decisioni spettano a gip, tribunali e corti d’appello. Ad esempio è stata la Corte di appello di Palermo a scarcerare Stefano Contino, presunto mafioso della provincia, condannato in secondo grado a 12 anni e 8 mesi.
Tra gli altri scarcerati vi sono anche il presunto mafioso di Gela Vincenzo Mulè, 58 anni, detto Enzo l’americano, che farebbe parte del gruppo mafioso dei Rinzivillo.
Ed ancora il catanese Francesco Sansone, 70 anni, mafioso ed estorsore; il messinese Antonino Cambria Scimone, Pino Sansone, 70 anni, in attesa di giudizio, costruttore palermitano vicino alla mafia corleonese (le motivazioni della scarcerazione ancora non si conoscono ma i legali hanno chiesto di valutare l’emergenza Covid); Pietro Pollichino, altro palermitano, già condannato a 6 anni e 8 mesi: Angelo Porcino, di Barcellona Pozzo di Gotto, che sta finendo di scontare una condanna a 11 anni di reclusione.