Esplode il Pd, perde Crocetta | Province, vincitori e vinti - Live Sicilia

Esplode il Pd, perde Crocetta | Province, vincitori e vinti

E' la vittoria di Ardizzone, Orlando e Bianco. Figuraccia della maggioranza: decisivi Fi e Pid.

PALERMO – Hanno vinto senza scendere in campo. Scesa la polvere del voto d’Aula, Leoluca Orlando ed Enzo Bianco “incassano”, senza muovere un dito neanche per pigiare il pulsante di Sala d’Ercole, la prossima nomina a sindaco metropolitano. Il “supersindaco”, insomma, previsto dalla riforma delle Province, che la Delrio individua automaticamente tra i sindaci del capoluogo e che invece il governo Crocetta, insieme a una fetta del parlamento, avrebbe voluto assegnare attraverso la lotteria delle “elezioni di secondo grado”. Era proprio su questo che l’Ars oggi era chiamata ad esprimersi. E si è espressa, lasciando sul campo veleni e nuove divisioni. Tanti vinti e pochi vincitori.

A vincere, certamente è stato il presidente dell’Ars Giovanni Ardizzone che ha avuto il coraggio già nelle scorse settimane di esprimersi contro la decisione di ignorare l’impugnativa di Roma solo sulla norma riguardante i sindaci metropolitani. Una posizione ribadita nei giorni scorsi, in maniera chiarissima e poi confluita nella convocazione della conferenza dei capogruppo che ha, di fatto, costretto le forze politiche ad assumere una posizione ufficiale: il voto contrario a quella posizione avrebbe comportato una messa in discussione di dirigenti politici e dello stesso assetto di Sala d’Ercole.

A metà del guado è rimasto il Movimento cinque stelle. Intrappolato da un lato dalla pubblica contrarietà alla norma nazionale, dall’altro dall’opposizione ormai totale a Crocetta. Se i grillini avessero votato, oggi, secondo la loro convinzione, in Sicilia non si sarebbe applicata la Delrio. Tutto sarebbe stato rimandato dinanzi alla Corte costituzionale. Una decisione, però, che si sarebbe tradotta in una “vittoria” del governatore. Così, non è rimasto che uscire dall’Aula. Ottenendo certamente un vantaggio: quello di potere assistere, comodamente in poltrona, alla deflagrazione della cosiddetta maggioranza.

A vincere, nonostante si tratti di una vittoria più personale che collettiva, proprio quei “capigruppo” che una settimana fa si erano formalmente impegnati al recepimento della Delrio. Hanno vinto quindi Alice Anselmo del Pd e Mimmo Turano dell’Udc, Giovanni Di Giacinto del Psi, Nino D’Asero di Ncd e Beppe Picciolo del Pdr. Una vittoria a parte, poi, quella dei capigruppo di minoranza. Quella, insomma, di Forza Italia e Grande Sud-Pid, rappresentati da Marco Falcone e Toto Cordaro, che già stamattina si erano detti pronti a votare a favore dell’applicazione della Delrio. I loro voti, alla fine, risulteranno decisivi per l’approvazione e metteranno in luce le tragiche divisioni della maggioranza.

Dove, a recitare la parte del vero sconfitto è, tanto per cambiare, il Partito democratico. Se, infatti, alla fine è passata la linea della Anselmo (e quindi dell’area che fa capo a Davide Faraone), il Pd ha mostrato crepe enormi. “Serve un chiarimento”, ha tuonato il segretario regionale Raciti dopo il voto. Ed è la posizione più cauta, a pensarci bene. Perché ad esempio, la deputata catanese Concetta Raia ha parlato di “colleghi ipocriti e ricattatori”, rimangiandosi in una successiva versione del comunicato la seconda accusa. Il messinese Filippo Panarello ha parlato di “grave problema politico” nel Pd e di “comportamenti scorretti che non possono passare sotto silenzio”. Lo stesso Raciti, poi, in una nota congiunta col presidente dell’Udc D’Alia ha puntato il dito contro la pratica “mortificante” del voto segreto. A fare da “miccia” la decisione di quattro deputati Pd, quelli provenienti da Articolo 4 (Ruggirello, Nicotra, Sudano e Sammartino) di appoggiare la richiesta di voto segreto avanzata da Giovanni Greco, mettendo l’Ars potenzialmente nella condizione di impallinare una norma sottoscritta anche dallo stesso Pd.

Un partito che non c’è mai stato, in realtà. Come abbiamo scritto nei giorni scorsi, infatti, i democratici siciliani hanno convissuto (con difficoltà, liti, richieste di rimpasto, voti segreti come se piovesse) con le tensioni inconciliabili tra le varie tribù. Divisioni che si sono palesate oggi, ancora una volta. Solo l’ultima di un cammino politcamente fallimentare.

E la sconfitta del Pd è anche l’ennesima sconfitta di una maggioranza inesistente, di un’accozzaglia di storie politiche eterogenee, mutevoli, basate troppo spesso sulla convenienza del momento. Numeri alla mano, infatti, i franchi tiratori sono stati almeno nove. Ma in realtà sono molti di più, visto che parte del centrodestra ha pubblicamente dichiarato il voto a favore della Delrio. Così, i deputati che hanno “tradito” la propria maggioranza sono stati almeno quindici. Il parlamento siciliano, insomma, è del tutto ingovernabile, ingovernato. E la stessa attività legislativa, quella che dovrebbe far “cambiare marcia” alla Sicilia o quantomeno risolvere questioni vitali per migliaia di cittadini, è soggetta alle faide interne, alle questioni geografiche, alle simpatie e antipatie personali.

E tra i perdenti, ovviamente, c’è Rosario Crocetta, contrario all’applicazione della Delrio sui sindaci metropolitani: un tentativo di sgambetto all’odiato Orlando. Ma anche stavolta, è emersa la solitudine di un governatore che non governa, sostenuto da una maggioranza che non esiste, incapace di guidare l’iter di qualsiasi riforma: ostaggio delle correnti (d’aria e di partito) che soffiano a Sala d’Ercole e delle bocciature romane. Nei giorni scorsi il presidente, annusata forse la “batosta”, aveva provato addirittura a rinnegare le sue posizioni pubblicamente espresse contro l’applicazione della legge Delrio. Lo ha fatto anche in parlamento, per finire “sbugiardato” dal presidente Ardizzone: “Il governo non ha mai presentato alcuna proposta che prevedesse l’applicazione della Delrio sull’elezione dei sindaci metropolitani” ha detto il presidente dell’Ars. Una debacle, quella di Crocetta, che è anche quella delle Province stesse, cioè dell’ente, e dei circa seimila lavoratori. Un ente da anni commissariato e che per mesi non ha visto un euro a causa del “capriccio” di Crocetta e dei tanti improvvisati “difensori dell’autonomia siciliana”. Capricci. A discapito dei dipendenti lasciati col fiato sospeso, dei ragazzi costretti a recarsi (o peggio, a non recarsi) in scuole fatiscenti per l’impossibilità di portare avanti la manutenzione, di giovani handicappati rimasti a casa per il blocco dei servizi dedicati a loro, mentre attorno crollavano le strade che collegano decine di Comuni. Perché a pensarci bene, a perdere davvero, in questa lunga, confusa, tragicomica storia delle Province, è stata proprio la Sicilia.

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