"Fate puzzare dalla fame la gente"| Brancaccio nella morsa del racket - Live Sicilia

“Fate puzzare dalla fame la gente”| Brancaccio nella morsa del racket

Un frame delle video intercettazioni del blitz con 34 arresti a Brancaccio

Macellerie, bar, rosticcerie, ristoranti. Ecco la mappa del pizzo del clan.

PALERMO - LE INTERCETTAZIONI
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PALERMO – Da corso dei Mille a via Buonriposo, da via Messina Marine a via Giafar. E ancora via Ferrari Orsi, viale dei Picciotti, piazza Ponte dell’Ammiraglio. Non c’era via, nell’area compresa tra Brancaccio e Roccella, che la cosca guidata da Pietro Tagliavia non passasse al setaccio per rimpinguare le proprie casse. E, ancora una volta, lo faceva chiedendo il pizzo a tappeto a decine di attività commerciali. I fedelissimi del boss riscuotevano somme che andavano dai 500 ai 1500 euro, non risparmiando nessuno: gli episodi estorsivi ricostruiti durante le indagini che hanno portato la squadra mobile e la guardia di finanza a trentaquattro arresti, riguardano piccole botteghe, grandi magazzini, attività di ristorazione.

Dal fruttivendolo a Romagnolo, al macellaio, fino al parrucchiere e al panificio che si trovano nel cuore di Brancaccio. Ma nel mirino degli estorsori erano finiti pure alcuni negozi che hanno sede vicino al centro commerciale Forum, una pizzeria, un’altra attività commerciale alla Bandita, due bar, un supermercato e un negozio di mobili. I più “attivi” nella riscossione del pizzo sarebbero stati Salvatore Giordano, Giuseppe Ficarra, Giuseppe Caserta, Santo Di Giuseppe, Giacomo Teresi,Giovanni Vinci e Giuseppe Di Fatta, per i quali si sono aperte le porte del carcere. A raccogliere i soldi ci avrebbe pensato Giuseppe Lo Porto, fratello del cooperante Giovanni, rapito in Pakistan cinque anni fa e ucciso durante un raid delle forze armate statunitensi.

Quella del clan di Brancaccio viene definita dagli inquirenti “una capillare attività estorsiva sul territorio, portata avanti nonostante l’incapacità economica dei commercianti, già duramente colpiti dalla crisi economica”. Già, perché se il negoziante preso di mira non aveva i soldi per pagare almeno a Natale e a Pasqua, gli uomini di Tagliavia erano pronti a pesanti intimidazioni e ritorsioni. Le vittime sarebbero state scelte dopo accurate analisi, gli estorsori dovevano infatti ritenere “affidabile” la persona a cui chiedere il pizzo, e la maggior parte delle volte veniva scelto chi aveva bisogno di una “lezione” o chi, quasi certamente, non avrebbe mai denunciato.

E, in effetti, tra i commercianti finiti nel mirino della cosca, nessuno si è rivolto alle forze dell’ordine, alimentando un microcosmo fatto di omertà e vessazioni , diventato quasi impenetrabile. Anche di fronte a minacce e intimidazioni, a regnare era il silenzio. Le vittime subivano senza fiatare e nonostante i pochi tentativi di presa delle distanze dai boss, alla fine ogni commerciante cedeva. Come nel caso di un commerciante di divani, che dopo aver pagato per anni aveva cercato il dialogo con Giordano. Non ce la faceva più, non riusciva più a sborsare un centesimo. Ma i messaggi minatori da parte del clan non si erano fatti attendere: “Ma che cazzo fai. Ci vediamo sotto casa tua, ti aspetto anche tutta la sera. Sei riuscito a farmi girare i coglioni. Ora sarai tu a cercarmi. Ci penso io per te” Il negoziante, impaurito, si era alla fine presentato. Dicendo di aver dato già 500 euro a Natale e 500 a Pasqua, ma di non poter più essere puntuale pur mettendosi ugualmente a disposizione per dare “ogni tanto” dei soldi al clan.

All’interno di quest’ultimo, però, c’era chi secondo Giordano non si dava abbastanza da fare. L’atteggiamento di Ficarra, ad esempio, veniva ritenuto troppo “morbido”. Al punto che lo stesso Giordano era dovuto andare  a rinnovare le richieste di pizzo al suo posto. “Se ci va lui ci va tutto piatuso. Come per la pizzeria, ci sono dovuto tornare io!”

Ma Giordano si lamentava, in generale, della quantità di soldi che arrivavano nelle casse. Erano pochi e non ritenuti sufficienti per “campare le famiglie. Qua le state facendo puzzare di fame le persone”, diceva rivolgendosi a Teresi. Tra l’altro, tra chi riscuoteva il pizzo c’era anche chi teneva soldi per sé: “Non portate niente e li levate pure? Fatemelo capire quello che devo fare io! Perché a questo punto io mi tiro i remi in barca, signori agnello e sugo ed è finito il battesimo, però ditelo!”. 

Eppure ogni affiliato al clan avrebbe ricevuto dai 500 ai 750 euro al mese. A dirlo sono i pizzini trovati dalla squadra mobile e dalla finanza a casa di Cosimo Geloso durante le perquisizioni. Elencano, mese per mese, le somme riscosse e assegnate, con tanto di soprannomi e riferimenti ai commercianti estorti. Tra questi, anche i titolari di un noto ristorante e di una rosticceria che ha diversi punti vendita in città.


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