Festa di luci e di babbaluci. Serata calda di folla e appiccicaticcia di sudore. In mezzo a tanta gente sfilano il carro, figuranti, devoti, scettici e credenti d’occasione, con le loro orazioni e blasfemie. In testa la Santuzza, benevola, luminosa, ma sempre nobilmente umile, come la parte migliore del popolo che rappresenta. Festa di luci e di colori. Confusi tra tanti, Andrea e il nipotino si tengono per mano; gli altri della famiglia sono dietro di loro, mescolati nel corteo che avanza lentamente. Anche il piccolo si chiama Andrea; sarà questa condivisione che li fa sentire somiglianti, così uniti da sempre, nonno e nipote. “Quanti anni hai, Antrìa?”, “otto, nonno. Tu?” Andrea “grande” accelera il passo, seguito dal “piccolo”, un passo l’uno, due l’altro. Bisogna fare in fretta, adesso, fra un po’ ci saranno i “giochi di fuoco” alla Marina.
Tutto intorno è un flusso semiliquido di gente variopinta, che come un magma si dispone su un palco inesistente, assiepandosi dove c’è spazio. Poche ore prima Andrea “grande” era al microfono di una giornalista. “Dottore, lei ha diretto per molti anni un reparto di Rianimazione, accumulando un bagaglio enorme di esperienza. Cosa ne pensa della storia di Lambert, il giovane francese a cui, dopo esser rimasto per undici anni in uno stato vegetativo, per un’ordinanza delle Autorità giuridiche locali è stato interrotto ogni sostegno vitale, procurandone la morte?”.
Questo solo poche ore prima; adesso c’è tutto un altro scenario, intorno, i “fuochi” hanno cominciato a brillare, in alto. “Guarda che belli, nonno! Sembrano mazzi di fiori!” Il nonno sorride, “a chi li offriamo questi fiori?” “alla mamma!” “benissimo! E questi? Guarda che colori! Alla nonna?” “Si!” Alla giornalista interrogante aveva risposto che l’uomo è sempre uomo, soprattutto quando è più difficile riconoscerlo tale; che proprio davanti alle situazioni in cui è più problematico restituire lo statuto di “persona” a chi sembra averlo perso va cercata la possibilità di farlo; che le “riduzioni di umanità” sono una sfida per tutti; che è più facile abdicare, lasciar perdere, perché la morte cancelli tutto.
La vita rimane il mistero, per eccellenza. “Hanno fatto bene a lasciarlo morire?” “Bisognerebbe capire se c’era ostinazione nelle cure, o se invece…” “Come giudica i suoi colleghi francesi?” “Io non giudico nessuno!” Adesso è tutto un susseguirsi incalzante di luci che si espandono; il buio dello sfondo è la cornice ideale per le corolle fiammeggianti che sembrano sovrapporsi, prevalere l’una sull’altra, venire addosso a chi osserva dal basso. È tutto un tripudio di botti e di fischi, in un ritmo irregolare; alcuni crepitano, altri risuonano assordanti; ogni colpo sembra voler prevalere sugli altri, come dire “sono io il più bello!” Che cos’è la vita?
Andrea “grande” guarda adesso ogni singola luminaria, un tracciante luminoso che scrive una sua linea nel cielo. Forse è così; ogni vita nasce da un punto imprecisato della terra e descrive una linea, curva, più o meno intensa, più o meno luminosa, più o meno visibile, per poi morire in un punto imprecisato del cielo. Come le nostre vite. E qual è il senso? I fuochi strepitano sempre più forti. I due Andrea si stringono le mani. C’è paura, c’è emozione, le mani non possono staccarsi. La “masculiata” sembra che ti voglia scuotere le viscere, si vive di pancia, ti acchiappa da dentro, e dentro vuole esaurirsi. “Viva Santa Rosalia!” Non si può giudicare; non si può comprendere. Per quanto ci si ostini, la vita si espone alla nostra vista e alle nostre speculazioni, ma forse vorrebbe offrirsi solo alla nostra meraviglia incantata. Senza aggiungere altro. Come i giochi di fuoco del Festino. “Allora, nonno, io ho otto anni, e tu?” “Anch’io”. Davanti ai giochi di fuoco si è sempre bambini. È giusto così.