"Figlia mia, chi studia è un fallito" - Live Sicilia

“Figlia mia, chi studia è un fallito”

Lettera di una precaria siciliana
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2 min di lettura

(rp) E’ forse la fine del sogno. E’ la fine di tutte le parole. E’ la fine dell’amore di coloro che cominciarono a leggere Leopardi, clandestino sotto il banco verde, mentre una attempata professoressa spiegava per la terza volta Vincenzo Monti. La fine degli alieni che provarono un brivido tra i cateti e l’ipotenusa del teorema di Pitagora. La fine di coloro che odiarono con altrettanta passione ipotenusa e cateti. E’ la fine della scuola, cioè dell’adolescenza agra, tenera e splendente, come l’abbiamo conosciuta noi che il lusso di essere ragazzi almeno ce lo siamo potuti permettere.

“Mio dolcissimo amore, al momento posso solo dirti che lo studio non paga, non rende migliori, rende dei falliti, non serve a niente: meglio imparare un mestiere, ragionare poco, e guadagnare presto”.  Rosalinda Gianguzzi un’insegnante precaria siciliana “delusa” dai tagli della riforma Gelmini scrive alla figlia che si appresta ad andare in prima elementare. “Quel giorno sta arrivando amore mio, davvero presto, ma io non varcherò con te quella soglia. La mamma – scrive – resterà fuori, a lottare, perché quella scuola dalla quale sono stata brutalmente estromessa, quella scuola che ho contribuito a rendere una delle migliori del mondo, quella scuola in cui credevo e che amavo, sia buona anche per te e per tua sorella l’anno prossimo”. E aggiunge sempre rivolta alla figlia: “Quando mi dici ‘voglio insegnare’, non riesco a dirti che è il lavoro più bello del mondo, ma che i sacrifici per riuscire a farlo forse non valgono la pena. Anche perché come si diventa insegnanti? Ieri per concorso e titoli, oggi per residenza, domani per discrezionalità dei presidi: è veramente un tunnel senza fine”! Ed ecco la conclusione sarcastica ed amara nello stesso tempo: “Meglio frequentare le scuole di danza, tenervi a dieta, rendervi belle, appetibili, con pochi scrupoli, ambiziose per inserirvi facilmente nel mondo del lavoro”. La fiammella di una speranza brilla: “Spero di riuscire a fare la mia piccola parte per mutare le cose presto, affinché la tua domanda non arrivi prima che io sia riuscita a cambiare la risposta”.

E’ la fine di tutto, ma forse non lo è. Chi ha scritto questa lettera disperata, con tutta evidenza, non crede a una sola parola della sua amarezza.


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