Finanza, inchiesta sul riciclaggio |Coinvolti due catanesi - Live Sicilia

Finanza, inchiesta sul riciclaggio |Coinvolti due catanesi

Francesco Terranova e Giovanni Sottosanti sono i due catanesi arrestati nell'ambito dell'inchiesta della Finanza sul giro di riciclaggio di denaro sporco.

Arresti in tutta italia
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CATANIA – Ci sono due catanesi tra gli arrestati dell’inchiesta della guardia di finanza  che ha portato alla luce un’organizzazione che riciclava denaro sporco. In carcere Francesco Terranova, di Sant’Agata Li Battiati (Catania), 72 anni e Giovanni Sottosanti, 49 anni, di Ramacca (Catania).

L’inchiesta. Trentaquattro arresti, magistrati e colletti bianchi coinvolti, un giro di riciclaggio internazionale con un siciliano, ancora una volta, al centro dell’inchiesta. Ed è un volto noto.

Torna in carcere il tributarista palermitano Gianni Lapis. Sarebbe una delle menti della banda smascherata dalla Procura di Palermo (l’indagine è coordinata dall’aggiunto Vittorio Teresi) e dal nucleo speciale di Polizia valutaria della Guardia di finanza. Un’associazione a delinquere organizzata per riciclare montagne di dollari, franchi svizzeri e won sud coreani. Più che un’inchiesta è un terremoto giudiziario che coinvolge le città di Palermo, Roma, Milano, Napoli e Vercelli.

Nella Capitale sono stati arrestati anche due carabinieri e un magistrato in servizio al Tribunale amministrativo regionale del Lazio: si tratta di Franco Angelo De Bernardi. Dal Palazzo di giustizia di Palermo è partita la richiesta di arresto, firmata dai pubblici ministeri Dario Scaletta e Daniele Paci, anche per Lapis, condannato in passato a due anni e otto mesi per avere riciclato il tesoro di don Vito Ciancimino. Lapis fu la mente che riuscì a ripulire il denaro ricavato dalla cessione di alcune società di distribuzione del gas fittiziamente intestate al noto professionista, ma che in realtà erano di proprietà dell’ex sindaco mafioso di Palermo.

In manette sono finiti pure, tra gli altri, Francesco Terranova, Salvatore Amormino e Nino Zangari, già coinvolti, nel dicembre 2011, assieme a Lapis, in un’inchiesta della quale quella di oggi è un ulteriore sviluppo. Risulta coinvolto anche un funzionario regionale, Leonardo Di Giovanna, in servizio presso il settore Beni e servizi. Gli sono stati concessi gli arresti domiciliari. Avrebbe fatto da intermediario nell’importazione di 220 chili d’oro dal Ghana.

L’operazione si concentrerebbe su alcune operazioni finanziarie. C’erano i venditori e gli acquirenti: la merce di scambio erano fiumi di denaro. L’obiettivo sarebbe stato ripulire dollari, franchi e won cambiandoli con un controvalore ridotto, però, del 15-20% della quotazione ufficiale delle monete. Una percentuale che sarebbe finita nelle tasche degli intermediari.

Un agente provocatore della Polizia valutaria è riuscito ad infiltrarsi nella presunta organizzazione seguendo da vicino la compravendita di 10 milioni di dollari. Proprio com’era avvenuto nel dicembre di due anni fa, quando i finanzieri dissero di avere messo le mani sui soldi che sarebbero serviti anche per pagare le tangenti ai politici della Prima Repubblica.

L’inchiesta di oggi accende i riflettori su una serie di operazioni finanziarie transnazionali che coinvolgono diversi Stati: Italia, Francia, Svizzera, Repubblica Ceca e Ghana.

Numerosi i reati ipotizzati a carico dei responsabili: non solo associazione per delinquere aggravata dalla transnazionalità, finalizzata al riciclaggio di ingenti quantitativi di denaro in divisa estera e al commercio dell’oro, attraverso l’esercizio abusivo della professione di intermediario finanziario con modalità tali da eludere il sistema della tracciabilità delle operazioni (aggirando il circuito bancario e consentendo di fatto l’immissione nei mercati di denaro contante), ma anche falsificazione, spendita e introduzione nello stato di monete falsificate, detenzione illegale di armi e munizionamento, truffa e violazioni alla disciplina del mercato dell’oro. Fondamentale per la ricostruzione dei fatti e l’addebito delle singole responsabilità è stato l’impiego di un finanziere “sotto copertura” che, infiltrato nelle diverse organizzazioni, ha partecipato alle trattative necessarie per concludere le operazioni di cambio, acquisendo così precisi elementi di prova.


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