PALERMO – Scesa la polvere su Sala d’Ercole, quello che resta, dopo il caos della Finanziaria, è un lungo elenco di sconfitti e di pochi, pochissimi vincitori. A vincere, certamente, è stato l’assessore all’Economia. La linea di Alessandro Baccei è passata quasi integralmente. A parte pochi dettagli, l’inviato speciale di Renzi e Delrio ha portato a casa il massimo risultato. Ma a sorprendere oltre che il merito è stato il modo. Baccei è riuscito a districarsi tra le insidie della commissione bilancio e quelle dell’Aula, dimostrando anche non poca “furbizia” politica. Quando è servito, è andato incontro alle opposizioni, rimandando di due mesi, ad esempio, la trattazione di alcuni temi delicati come quello riguardante i teatri. “Adesso lavoriamo tutti insieme per reperire i 15, 20 milioni necessari”. E il messaggio ha convinto l’Aula. Ma nel merito, Baccei ha fatto passare le riforme che i suoi predecessori non erano riusciti a compiere. A cominciare dai tagli ai dipendenti pubblici e all’allineamento delle pensioni alle norme statali. Ovviamente, la “vittoria” di Baccei può essere letta in altro modo. L’impianto della manovra è stato “dettato” da Roma. E l’utilizzo dei fondi per gli investimenti per coprire il buco o la cancellazione di una serie di residui attivi che vedevano lo Stato debitore nei confronti della Sicilia sembrano manovre che aiutano più la Capitale che la Sicilia. E a proposito di Roma, ovviamente, tra i vincitori c’è quel Davide Faraone che ha sponsorizzato fortemente l’ipotesi-Baccei, ha “incassato” alcune delle richieste avanzate in passato nei suoi “decaloghi” o ultimatum. E ha messo all’angolo il presidente Crocetta.
È proprio il governatore il vero sconfitto di questi giorni. Esautorato dal responsabile dell’Economia in giunta, Crocetta, fino all’ultimo giorno di esame della manovra, non si era nemmeno visto a Sala d’Ercole. Un’assenza pesante, solo in parte giustificata da una non meglio chiarita “convocazione d’urgenza” da parte della Presidenza del consiglio o da una giunta di governo convocata proprio nelle ore più calde della Finanziaria, e non certo per deliberare atti urgenti o epocali. No, Crocetta ha giocato il ruolo della comparsa. O poco più. Anzi, qualcuno gli ha fatto notare, non senza ironia, durante la seduta del 30 aprile, che forse la sua presenza in Aula avrebbe potuto solo complicare le cose. “Si riposi, presidente – lo ha provocato il deputato di Forza Italia Giuseppe Milazzo – che noi andiamo avanti”. Mentre persino tra i deputati della maggioranza, qualcuno lamentava: “Se Crocetta non fosse arrivato a Sala d’Ercole, avremmo approvato la manovra con molte ore d’anticipo”. E invece il governatore a Sala d’Ercole è arrivato. Ma è apparso confuso. E arrancante. Fino all’ultimo, quando ha quasi “implorato” i deputati che stavano facendo mancare il numero legale: “Ma si può fare una cosa del genere, solo perché abbiamo stoppato un emendamento su Fincantieri?” ha chiesto Crocetta. Ma il presidente aveva già perso nei giorni precedenti. Quando, cioè, in sua assenza, l’Aula si è divertita a sparare sui capitoli di bilancio direttamente riconducibili al governatore. Da quelli per le consulenze a quelli per la comunicazione istituzionale. Impallinati anche dai franchi tiratori della sua maggioranza.
Una maggioranza che ha perso, insieme al suo presidente. Nonostante adesso i capigruppo alleati si affannino a sottolineare il “grande risultato” ottenuto, i partiti che sostengono il governatore hanno ancora una volta dimostrato di non essere né uniti, né affidabili. E anche su questo tema, Crocetta è intervenuto, quasi arreso, nonostante un orgoglioso colpo di coda: “I partiti – ha detto a Sala d’Ercole – si sono pure scelti gli assessori, abbiamo fatto il governo insieme. Doveva essere quello dell’unità, e invece… ma nessuno pensi che io faccia un passo indietro. Non accadrà”. Quindi si andrà avanti così. Con una maggioranza che ha appoggiato gli emendamenti dell’opposizione indirizzati verso i soldi del governatore. E che ha manifestato in maniera tragicomica la propria incosistenza, con la “marcia indietro” innescata da qualche deputato, verso una Sala d’Ercole dove la maggioranza non è riuscita nemmeno a garantire il numero legale. Una figuraccia. Che non è stata ancora più clamorosa solo grazie al comportamento ambiguo di una parte delle opposizioni.
In particolare dell’Mpa e di Ncd, che hanno “salvato” con la presenza in Aula di Giovanni Greco e Vincenzo Vinciullo, l’approvazione della legge di stabilità. Un ulteriore esempio della fragilità dell’offerta politica di due aree che non sono state ancora in grado di chiarire a se stesse se vogliono fare opposizione o “flirtare” col governo. Un caso, quello di Ncd, che pare ormai sempre più come il “marchio di fabbrica” del partito di Alfano, che ha celebrato anche a Sala d’Ercole quel rito dell’”improvvisazione utile” che verrà riproposto anche nei prossimi giorni nelle amministrative siciliane e che già da tempo scontenta alcuni big dell’Isola: “Non abbiamo una regia politica”, ha lamentato alcuni giorni fa Francesco Cascio, tra i più vicini al ministro dell’Interno.
Ma c’è anche un’altra opposizione, all’Ars. Ed è un’opposizione che, pur senza fare miracoli, esce vincitrice dalla maratona della Finanziaria. I deputati del Movimento cinque stelle hanno dimostrato di avere acquisito, in questi due anni, una certa “maturità” politica. E durante l’esame hanno “colpito e affondato” più volte. Ad esempio, costringendo il governo “antimafia e anticasta” a rimangiarsi l’aumento delle spese per le autoblu e di “girare” quelle somme a un capitolo destinato alle borse di studio sulla lotta alla criminalità organizzata. È sempre dei Cinquestelle, poi, l’intervento che ha consentito di reintrodurre il tetto di reddito per far parte del bacino degli ex Pip. Incredibilmente e stranamente scomparso nella riformulazione esitata dalla Commissione bilancio. Un emendamento appoggiato anche da Crocetta, che, a quanto pare, non si era nemmeno accorto di quella sorprendente “scomparsa” del tetto.
Per il resto, lo sfondo è quello di piccoli successi localistici e di modeste “sconfitte”. Come quella che indirettamente coinvolge Antonio Ingroia ed è specchio di quella debacle del cerchio magico di Crocetta, anche questo messo all’angolo da Roma. Tra i pochi articoli bocciati della Finanziaria c’è proprio quello che prevedeva l’assegnazione dei dipendenti regionali a Sicilia e-Servizi. Una soluzione che avrebbe consentito alla società di funzionare pur rinunciando al personale attualmente assunto a tempo determinato. Assunzioni per le quali lo stesso Ingroia, insiema a Crocetta è stato “rinviato a giudizio” dalla Corte dei conti. Ma hanno perso, ovviamente, e loro malgrado, i dipendenti regionali. Gli unici, a torto o a ragione, a recitare il ruolo della vittima sacrificale sull’altare di una Finanziaria che poi, testo alla mano, ha tolto nulla a tutti gli altri. A cominciare dagli esterni alla guida delle partecipate che guadagneranno più di prima (nonostante un intervento dell’opposizione che ha ridotto il danno). E a perdere è anche e soprattutto il sistema produttivo siciliano. Nella Finanziaria non c’è un euro per lo sviluppo. Anzi. I fondi che dovrebbero servire per gli investimenti (quelli del Fondo si sviluppo e coesione) sono stati usati per coprire il “buco” della Regione. Una Regione che, pur di campare, ha venduto un pezzo del proprio futuro.