“Gli uomini del disonore”, secondo la definizione di un libro vecchio e calzante. Uomini di mafia. Uomini morti civilmente, sepolti in un dedalo di sbarre e chiavistelli, fino a smarrire identità, volto e relazioni. Dove sono reclusi e come vivono i principali boss di Cosa Nostra? Come passano le loro giornate padrini del calibro di Totò Riina e Bernardo Provenzano, ma anche gli ultimi latitanti arrestati in Sicilia? Che fine hanno fatto i sanguinari personaggi che hanno messo a ferro e fuoco l’Isola, disseminando le sue strade di lapidi?
All’universo 41 bis il prossimo numero “S” (nella foto la copertina), il magazine che guarda dentro la cronaca, dedica un ampio servizio a firma di Riccardo Lo Verso: nel mensile, in edicola da domani, sabato 19 febbraio, vengono ripercorse le tracce di undici capimafia, dal carcere di Novara a quello dell’Aquila, dal penitenziario di Opera a quelli di Tolmezzo e Parma. E si tenta di trovare una risposta, di illuminare consuetudini, stili di vita, cambiamenti, all’ombra di un penitenziario che non si aprirà più.
In cella i boss si dedicano per lo più alla lettura. Alcuni di loro, come ad esempio Gianni Nicchi, hanno imparato a scrivere meglio, ad esprimersi in un italiano con meno soprassalti sintattici. Ma il “picciutteddu” divenuto boss agli ordini di Nino Rotolo ha soprattutto i fiori d’arancio in programma. Sta pensando al matrimonio, dopo qualche problema: in autunno, il boss giovane aveva rifiutato il cibo perché non riusciva a vedere i due figli, nati durante
la latitanza e mai riconosciuti. Adesso Nicchi sta mettendo le cose a posto: si sposerà presto, tanto che le pubblicazioni matrimoniali sono già state affisse.
Le regole del 41 bis, del resto, sono molto stringenti. I detenuti possono telefonare una volta al mese ai familiari, ma per ricevere le chiamate i parenti devono presentarsi in un altro carcere. La corrispondenza viene controllata. Si possono comprare solo alcuni tipi di cibi: la lista dei prodotti alimentari che il detenuto può chiedere di acquistare è molto ristretta e non c’è la possibilità di cucinare all’interno della cella. Unica deroga, in alcuni casi, è la disponibilità di un fornellino per scaldare i cibi. In cella, poi, non si possono tenere libri con copertina rigida e bottiglie. In queste condizioni vivono, secondo le ultime statistiche aggiornate all’estate del 2010, 681 persone, per la gran parte accusati o condannati per associazione mafiosa. Uomini senza più storia.