PALERMO – Ipotizzato nella prima inchiesta, spazzato via nella seconda. Al processo per l’omicidio di Enzo Fragalà si torna a parlare del movente che mescolava faccende professionali e private del penalista assassinato nel 2010.
Sotto processo davanti alla Corte d’assise di Palermo, presieduta da Sergio Gulotta, ci sono Francesco Arcuri, Paolo Cocco, Antonino Abbate, Salvatore Ingrassia, Antonino Siragusa e Francesco Castronovo.
A deporre è Monica Vitale: “A me Parisi mi disse che Fragalà aveva fatto avance a una donna”. Gaspare Parisi, mafioso di Borgo Vecchio, per un periodo era stato l’amante della collaboratrice di giustizia. Già nel 2011 Vitale riferì di avere sentito Tommaso Di Giovanni, capomafia di Porta Nuova, mentre parlava con Parisi. Fragalà non si era comportato bene con la moglie di un cliente e il cugino dell’uomo avrebbe chiesto ai mafiosi di dare una lezione al penalista per il suo atteggiamento irrispettoso. Una tesi che non ha convinto magistrati e investigatori. Il cliente era in contrasto con i boss perché faceva furti senza autorizzazione tanto che decisero di bruciare la sua macchina. La mafia avrebbe mai potuto fare un favore, uccidendo il povero Fragalà, ad una persona che si era meritata una punizione? Secondo i pm, il movente è un altro: tra i mafiosi covava il malcontento per l’avvocato sbirro. Sbirro perché i clienti di Fragalà facevano ammissioni nei processi e rendevano interrogatori che mettevano nei guai i boss. Sbirro perché non aveva esitato, per difendere al meglio un suo assistito, a rendere pubblica la corrispondenza della moglie di un padrino della vecchia mafia. Alla fine il clan mafioso di Porta Nuova decise di entrare in azione. La spedizione punitiva a colpi di bastone divenne un massacro.
Monica Vitale risponde alle domande dei pm Francesca Mazzocco e Caterina Malagoli. Ripete la ricostruzione già resa in passato, sostenendo di avere appreso le notizie da Parisi. La collocazione temporale presenta della anomalie. Parla del 2010, ma poi sostiene di avere conosciuto Parisi nel 2011. In realtà confonde le date e probabilmente anche gli omicidi, sovrapponendo nei suoi ricordi al delitto Fragalà quello di Davide Romano, picciotto del Borgo Vecchio, assassinato un anno dopo il penalista. “Sono passati tanti anni – racconta in aula – allora ero confusa, facevo tanti interrogatori”.
Gli avvocati Michele Giovinco, Filipppo Gallina, Edi Gioè, Rosanna Vella, Corrado Sinatra e Debora Speciale, difensori degli imputati, ritengono che sia importante non abbandonare alcun movente. Compreso quello della vendetta del cliente. È vera, dicono i legali, la storia dei furti non autorizzati, ma altrettanto vero è che, come disse VItale, ad un certo punto l’uomo iniziò a versare ai boss una parte dei proventi della sua attività illecita e i contrasti furono superati.
La donna racconta anche della sorpresa di Parisi quando si seppe che era stato indagato Ivano Parrino, la cui posizione fu poi archiviata: “Come hanno fatto a confonderlo con Francesco Arcuri?” Perché l’amante le disse che “Francesco era stato l’esecutore”.
Un parte del racconto si concentra sulla figura di Francesco Chiarello, il collaboratore che ha riaperto il caso, considerato “attendibile” dai pm ma anche dai giudici che hanno via via confermato le nuove ordinanze di custodia cautelare. Secondo Vitale, “è una persona che non aveva le basi per stare nella mafia”.