"La strage di Capaci tra le foto dei morti e la comunione"

“La strage di Capaci tra le foto dei morti e la comunione”

Franco Lannino, il primo fotografo ad arrivare sul posto, il23 maggio, racconta.
IL NOSTRO 23 MAGGIO
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(Roberto Puglisi) “Scusami, ma ora devo proprio scappare. Devo correre in gattile da Abbondio che mi aspetta. E, se non mi vede, diventa nervoso. Un giorno lo devi conoscere. Lui ti farà le fusa, ma non vuole essere accarezzato. Se ci provi, ti graffia”.

Franco Lannino sembra una persona capovolta, più che diversa, rispetto ai giorni in cui ci siamo conosciuti al ‘Giornale di Sicilia’. Io ero un collaboratore alle prime armi e cercavo di imparare dai fotografi che sapevano muoversi. Lui faceva coppia con Michele Naccari: erano gli assi della nera. Avevano coraggio e sapevano sempre cosa fare. Non è facile scendere in un campo di dolore e di rabbia. Chi prega davanti a un lenzuolo che copre il corpo di un ammazzato non nutre, di solito, come è ovvio che sia, sentimenti di disponibilità.

Franco fu il primo fotografo a sbarcare nel macello della strage di Capaci, come si sbarca, dopo un viaggio dalla terra alla luna. Nessuno – nemmeno un professionista della cronaca – aveva mai visto uno scempio su così vasta scala. Oggi, l’uomo che regalò al mondo la fotonotizia esclusiva di quanto fosse ampio l’orrore della mafia si occupa di gatti, con il suo rifugio dedicato a ‘Pola Narzisi’, storica figura di animalista e fondatice. Lo scorgi nelle foto in cui allatta i gattini e ti viene difficile pensare ai morti. Abbondio è un gatto con cui hanno familiarizzato: disponibile al contatto umano, affettuoso, ma senza esagerare. Un po’ come Franco che qui racconta il suo 23 maggio del 1992. Con la sua viva voce.

Un poliziotto mi disse…

“La forza del nostro mestiere è sempre stata la velocità. Quel giorno, un sabato, sono schiffarato. C’era stata la chiusura del giornale ‘L’Ora’ che usciva nel pomeriggio. Io e Michele lavoravamo per una agenzia di Milano. Sono alla Fiera del Mediterraneo, quando un poliziotto si avvicina e mi dice: ‘E’ successo qualcosa a Capaci. Forse, è esplosa la cementeria. Ci sono vittime’. Avevo la macchina, quel giorno. Mi precipito. Ma a Tommaso Natale è tutto chiuso, non si passa. Lascio l’auto e, siccome sono un pazzo, penso di andare a piedi… Poi vedo Franco Nuccio, allora giovane cronista dell’Ansa, con la moto. Salgo nel posto di dietro e gli dico: ‘Andiamo’. Proviamo dalla Statale’”.

Il corpo di un amico

“C’è una stradina che permette di arrivare sul posto. Arriviamo. Non sappiamo niente. Nessuno sa niente. C’è chi pensa che la bomba sia stata sganciata da un aereo. Ma la notizia è brutalmente chiara: c’è stato un attentato contro Falcone, sua moglie e la scorta. La scena è impressionante. C’è un cratere enorme. Io scatto a raffica, totalmente preso dal mio lavoro e dall’adrenalina. Sarà mia la prima foto, con le auto distrutte, pubblicata da tutti i giornali e da tutte le agenzie del mondo. C’è un corpo coperto sulla barella: è Antonio Montinaro, il caposcorta. Antonio era sempre gentile. Quando dovevo fotografare il dottore Falcone si scostava, per non impallarmi. Lo ricordo come un pezzo di pane. Era un ragazzo innamorato della sua famiglia che amava ridere e scherzare. Devo sbrigarmi per sviluppare le foto. Torno sui miei passi, ma sono senza mezzo perché Franco Nuccio resta lì. Si ferma un ragazzo con il motorino. Quasi gli grido: ‘Portami a Tommaso Natale’. Lui nicchia. Gli allungo diecimila lire e si convince”.

Le foto del dolore in bianco e nero

“Le foto di quel giorno sono in bianco e nero. Il colore c’era, ma ci appoggiavamo ai laboratori fotografici che di sabato erano chiusi. Bisogna volare. Faccio tutto. Le immagini saranno colorate dopo. Il 24 torno sui luoghi della strage. Stavolta c’è un cielo terso, non le nuvole del 23 maggio. Uno studio fotografico, molto tempo prima, mi aveva commissionato una prima comunione proprio per quel giorno. Non posso lasciarli in tredici. Volo, ancora una volta, con la mia Vespa. Un quarto d’ora in chiesa, poi a Capaci. Un quarto d’ora al trattenimento, poi a Capaci… No, non sono crollato. Avevo l’idea fissa della mia professione. Soltanto settimane dopo, mi sono consentito di provare il dolore che era dentro di me. Ora, scusami. Devo tornare al gattile”. Franco finisce di consumare la sua granita al limone, in un bar della piazza di Mondello. Inforca la Vespa e riparte. In questo giorno di nuvole basse e cupe, a poche ore dall’anniversario, ha messo il suo cuore sul tavolino, accanto al bicchiere. Ha parlato, Franco. Ha onorato Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro, Vito Schifani. Poi, come il suo amico Abbondio, si è sottratto. Certi gatti e certi uomini dall’apparenza rude temono le emozioni, perché la memoria li ferisce in profondità. E si nascondono, nella loro sensibilità. Così fanno da una vita, per proteggersi, certi uomini e certi gatti. (rp)


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