CATANIA – Pubblichiamo la lettera fattaci pervenire dall’ingegnere catanese Concetto Bosco, nella quale illustra le ragioni che, secondo la sua tesi, hanno provocato il crollo del ponte Morandi a Genova.
Ecco la lettera:
“Stiamo tutti seguendo il dibattito sui media sul tragico evento di Genova, e volevo dare un contributo alla comprensione del perché del crollo inaspettato (?) del Viadotto Morandi. Innanzitutto l’ingegner Riccardo Morandi ha progettato tanti ponti, ma non solo, e anche diverse strutture caratterizzate dallo stesso “segno” leggero, “funzionalista”, autentico precursore del lavoro della blasonatissima archistar spagnola Santiago Calatrava. Ha, tra le altre, ad esempio progettato la vecchia aerostazione di Catania, oggetto di prossimo (giusto) restauro, ed è stato un interprete, ed un “fan” autentico, dell’utilizzo – anche ardito – del cemento armato, anche per usi per così dire inconsueti e/o estremi. Negli anni 60 in pieno boom economico la cementificazione non era tabù come adesso, ma significava progresso. Le opere del Morandi, anche estreme, che per leggerezza talvolta sfidano la logica, hanno segnato lo sviluppo economico del paese, indicando quanto l’Italia fosse all’avanguardia tecnologica nel mondo.
Tanto è vero che, prima del crollo, pensare alla demolizione del viadotto genovese avrebbe sollevato – ci potete contare – le proteste degli storici dell’architettura e dell’ingegneria, come se ad esempio si stesse pensando alla demolizione dello stadio di Firenze dell’ingegner Pier Luigi Nervi, o della stazione Termini, il “dinosauro” di Roma. Insomma il lavoro di Morandi è stato sempre riconosciuto – prima di oggi – come pietra miliare della storia dell’architettura ed ingegneria italiana .
Fatta questa premessa però, c’è da dire che il ponte certamente non è stato manutentato come si sarebbe dovuto fare.
In particolare, negli anni, accanto agli “stralli” in cemento armato (segno esilissimo del Morandi), sono stati posti dei nuovi tiranti in acciaio per “aiutare” gli stralli (vecchi di Morandi) a sopportare le tensioni crescenti per le maggior sollecitazioni dovute ad un traffico crescente, e per meglio resistere agli acciacchi del tempo. Il problema è che questi stralli non sono stati adeguatamente protetti ai fulmini come succede (anzi è un obbligo) per tutte le costruzioni moderne.
Andiamo ai fatti.
Se guardate il video “oh mio dio” vedrete che nei primissimi istanti del filmato crolla l’impalcato (la piattaforma dove scorrono i veicoli), e subito dopo, il pilone in due momenti successivi. Nello schema statico di Morandi il pilone verticale risulta “compresso” e gli stralli “tesi” anzi “tesissimi” perché sopportano il peso degli impalcati e del traffico sovrastante.
Un fulmine che colpisce [non dovrebbe mai succedere] uno o più stralli con una potenza di 20.000 KVA con temperature elevatissime di migliaia di gradi, liquefa’ in un istante gli stralli in acciaio, provocando la rottura degli stralli, e la caduta immediata dell’impalcato (si vede nel filmato).
Immediatamente dopo “a ruota” si verifica lo squilibrio istantaneo del pilone, che avendo ormai un lato (del crollo) ormai “libero”, viene “tirato” dall’altro strallo che con forza immensa (ormai non più equilibrata dal tirante saltato) ne provoca il crollo, e la rovina del pilone stesso.
In definitiva a mio avviso la mancata – o insufficiente – protezione ai fulmini degli stralli (posticci) applicati da Autostrade, ne ha provocato (al verificarsi dell’evento limite (il fulmine) il crollo.
Analogamente, se ad una macchina d’epoca di 51 anni, l’età del viadotto Morandi, non manuteniamo periodicamente il sistema frenante, non c’è la possiamo prendere col costruttore dell’auto se poi alla prima curva andiamo a sbattere. Per le stesse ragioni salviamo il lavoro – ammirato in tutto il mondo – dell’ingegner Riccardo Morandi”.
Concetto Bosco