PALERMO- Gianluca respira in riva a un mare che non conosciamo, ora che la sua anima di figlio rinasce, da mattina a sera, vegliata dagli sguardi di sua madre. E’ così che ci piace pensarlo, per la sua faccia bambina tanto simile alla felicità, per il suo cuore piccolo e immenso, per la sua vita breve, eppure infinita. Gianluca Irrera aveva nove anni quando la pistola del padre lo uccise, prima che lo stesso genitore la rivolgesse contro se stesso, nell’epilogo misterioso dell’esistenza di un uomo noto a molti per la sua bontà e per la sua gentilezza.
“Io non giudico quello che è successo – dice Antonella, la mamma -. Tanti lo hanno fatto. Ma se non sono diventata dura io che ho sofferto in prima persona, con mia figlia, come possono gli estranei arrogarsi questo diritto? Gianluca era la gioia che non ha confini. Mio marito era un padre esemplare, un ragazzo che amava ed era amato. L’accaduto ha lasciato un vuoto incolmabile, ma ogni giorno c’è da combattere a fianco della speranza, circondati dall’affetto di tantissimi”.
Antonella stessa è immagine e materia della speranza che ha evocato. Lo è nella sua casa accogliente, alla periferia di Palermo, addobbata di segnali luminosi che indicano a intermittenza un ininterrotto percorso d’amore. Lo fu quando decise, dopo la morte del figlio, di donare i suoi organi. Cinque, tra bambini e ragazzi, sono stati salvati da un gesto di generosità sbocciato su un dolore che brucia fortissimo. Oggi è la giornata dedicata proprio alle donazioni e si può imparare qualcosa dalla storia di Antonella e del suo coraggio.
“Gianluca ha lottato per una notte. La mattina, quando ho visto la dottoressa, ho capito subito dalla sua espressione che l’evento terribile della morte si era verificato. Lei non riusciva nemmeno a spiegarlo: ‘sono pure io una mamma…’. ‘Non preoccuparti, so già tutto’. ‘Senti, Antonella, devo dirti una cosa: c’è la possibilità di donare gli organi’. Ho guardato il sacerdote che mi ha fatto di sì con la testa e ho dato l’assenso. Perché le mie lacrime avrebbero dovuto negare a qualcun altro la rinascita? Forse il mio bambino era nato per questo, per volare nel destino di qualcuno e cambiarlo in meglio. Se siamo colpiti da un lutto atroce, l’egoismo non ci serve, non ci aiuta. Io so che Gianluca cammina nei passi di altri che hanno la loro esistenza autonoma con un po’ di mio figlio addosso”.
Antonella prepara un ottimo caffè. Sistema la sua bellissima cucina. E’ un modo non per nascondere, ma per non drammatizzare la circostanza che pure adesso ci sono lacrime che scorrono. Chi onora la speranza le accetta, ma non per questo si ferma.
“Vede quel cuore di peluche? Me l’ha regalato un’amica. Qui siamo pieni di cuori – e c’è un sorriso che spunta – perché si manifesta sempre un cuore, come ritaglio di carta, come pozzanghera, come gioco di luce, quando sono triste. E’ come se lui mi dicesse: io sono qui. Lui è qui, con noi, lo sentiamo. Sarà la suggestione, sa, oppure il cuore di una mamma è eternamente unito al cuore di suo figlio”.
“Una signora, la mamma di uno dei ragazzini che hanno ricevuto gli organi, ha scritto una lettera per ringraziarmi. Era una lettera delicata, profonda, piena di attenzioni. Quella famiglia capiva che la loro esultanza nasceva dal dolore di altri. Una volta, c’è stata l’occasione di incontrare un bambino che ha dentro di sé un po’ del mio Gianluca. Non è successo e mi è mancato quell’abbraccio. Ma ai ragazzi rinati con mio figlio vorrei dire soltanto di correre, di camminare, di guardare il cielo, di essere se stessi e di non arrendersi mai”.
Anche Gianluca, così vogliamo immaginarlo, corre, da mattina a sera, in riva a un mare che non conosciamo ma che pensiamo grandissimo. Ogni impronta che lascia sulla sabbia è il nome di sua madre.