Per poter abortire una donna del Veneto ha dovuto girare 23 ospedali. Oltre che nella sua regione è andata anche in Friuli venezia Giulia e in Trentino. “Mi domando che senso abbia promuovere una legge per dare diritto di scelta e poi non si mette nessuno nelle condizioni di farlo. Lo trovo offensivo, inutilmente doloroso. Una struttura pubblica doveva darmi garanzia dell’applicazione della normativa”.
È metà dicembre quando Giulia, 41 anni, scopre di essere incinta e di essere già al secondo mese di gravidanza. Vuole abortire e comincia a contattare telefonicamente le strutture in cui potrebbe avere accesso all’interruzione volontaria di gravidanza, prevista per legge entro il terzo mese di gestazione. Le risposte la fanno cadere nello sconforto: “non ce la facciamo”, “siamo già al limite”, “non riusciamo a stare nei tempi”, “ci sono le vacanze”, “sono tutti obiettori”, “il problema non è solo trovare un medico ma anche l’anestesista può essere obiettore di coscienza”, “non siamo nelle condizioni di…”.
Quando sembra che tutto sia perduto, Giulia si rivolge alla Cgil e finalmente riesce ad abortire a Padova, nella sua città, nel primo ospedale che aveva contattato. “Non dimenticherò mai la mancanza di professionalità e di umanità che ho vissuto sulla mia pelle”, racconta al Gazzettino di padova.
Da parte sua l’assessore regionale alla Sanità del Veneto, Luca Coletto ha annunciato un’indagine interna, approfondendo la vicenda e sentendo anche la donna.