PALERMO – Era diversa Giuseppa. Giusy, così la chiamavano nell’ambiente scolastico frequentato dalle figlie, Gaia e Maria Sofia, forse “stava cambiando atteggiamento, dava segnali di apertura”. All’istituto religioso Suor Teresa Valsè iniziavano a riconoscere una donna diversa da quella che finora insegnanti e genitori avevano conosciuto e che di lì a poco avrebbe ucciso le sue due bimbe. Fredda e distante ,si appartava nell’atrio della scuola per prendere le due figlie al suono della campanella per poi allontanarsi velocemente. Non parlava con nessuno Giuseppa Savatta. Ed era ogni giorno così. Lo era stato almeno per quasi cinque lunghi anni. Poi, improvvisamente, aveva stupito mamme e insegnanti. “Ecco il mio numero di cellulare – aveva detto loro -. Inseritemi nel gruppo whatapp”. Poi la decisione di partecipare alla gita scolastica e di accompagnare la figlia più piccola nel Catanese a vedere “La casa delle api”. Era il 17 novembre. “Una giornata tanto bella quanto normale – stando alle voci di chi la notava a scuola -. Giusy iniziava a socializzare con noi, condivideva le foto di gruppo e le semplici chiacchierate di una giornata di svago”.
Doveva essere una giornata di festa per la più piccola delle figlie. Martedì, infatti, per la prima volta, dopo tanti anni, avrebbe dovuto partecipare alla festa di compleanno di un compagno di classe. “Aveva aderito alla quota per comprare il regalo”, parlano le mamme. Non era mai successo in tanti anni trascorsi all’istituto Valsè, prima alla scuola materna e ora alla scuola primaria. Giusy pian piano iniziava a socializzare, Giusy che consentiva alla piccola Gaia di partecipare alla festa in classe, Giusy che “sembrava stesse cambiando, ecco perché – dicono all’istituto – non riusciamo a darci pace per questa terribile tragedia”.
Due angeli. Due bambine bellissime di cui mamma aveva premurosa cura. “Le seguiva nei compiti con attenzione”. “Indossavano sempre la divisa pulita e spesso un cerchietto ai capelli sempre pettinati”. Chi la incontrava all’istituto delle suore, frequentato dalle figlie, descrive Giusy Savatta come una “donna iperprotettiva”. Nella scuola “Romagnoli” dove era da poco arrivata non tutti la conoscevano ancora. “Arrivava puntuale, la vedevamo pochissimi minuti. La mattina firmava e raggiungeva la sua aula al piano di sopra”, raccontano i collaboratori scolastici tra l’eco delle classi vuote per le ferie natalizie. “Era arrivata a fine ottobre – proseguono -. Si era presentata con molta cordialità come la nuova insegnante della scuola, incaricata per il sostegno ad un allievo del corso di spagnolo”.
Viveva una condizione di solitudine Giusy, in quella famiglia normale che viveva una casa normale; segnata dalla perdita del padre, morto suicida, qualche anno fa, la donna si era anche allontanata dalla famiglia. Portava le figlie dalla loro nonna che abita nel palazzo di fronte e che aveva trascorso il Natale a casa. Il marito Vincenzo Trainito, docente e ingegnere nella libera professione, viene descritto dai vicini come “un uomo mite, buono”. “Ci salutiamo come buoni vicini, tutto qui”, sussurrano ai giornalisti in via Passaniti. Oggi curiosi e passanti gettano lo sguardo alla palazzina dove nel primo pomeriggio di martedì si è consumata la tragedia. Qualcuno ha adagiato un mazzo di margherite bianche sul davanzale del portone per ricordare Gaia e Maria Sofia. Vittime di una crudele storia che si ripete ancora, di mamme che uccidono i figli, di equilibri precari di cui tanti sanno, ma tutti tacciono.