"Gli ho dato un miliardo..."| L'impero Pecora e Cosa nostra - Live Sicilia

“Gli ho dato un miliardo…”| L’impero Pecora e Cosa nostra

Francesco Pecora

Spulciare l'elenco delle relazioni e degli affari di Pecora significa misurarsi con i pezzi grossi della mafia di un tempo. Non solo Nino Rotolo, ma pure Pippo Calò, Tommaso Spadaro e Giuseppe Ficarra.

PALERMO - LA CONFISCA
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PALERMO – Francesco Pecora ha costruito decine e decine di palazzi, riciclando i soldi della mafia. In particolare del boss di Pagliarelli, Nino Rotolo che, intercettato, spiegava nel 2006: “Gli ho dato un miliardo quando valevano dieci miliardi di ora”.

Negli anni Pecora ha costruito un impero che oggi passa al patrimonio dello Stato. Valgono cento milioni di euro i beni confiscati su proposta della Direzione investigativa antimafia dalla sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo. La confisca, frutto del lavoro della vecchia sezione presieduta da Silvana Saguto e azzerata dall’inchiesta di Caltanissetta, colpisce gli eredi di Pecora, deceduto nel 2011.

La misura patrimoniale si basa sulla pericolosità sociale di Pecora cristallizzata, secondo l’accusa, in anni di indagini. È vero, infatti, che il costruttore fu assolto dall’accusa di associazione mafiosa, altrettanto vero è, però, sottolineano gli investigatori, che dei suoi interessi economici in combutta con i padrini di Cosa nostra hanno parlato diversi collaboratori di giustizia. A cominciare da Leonardo Vitale, il primo grande pentito di mafia che all’inizio fu creduto pazzo. Anche questo contribuì all’assoluzione di Pecora in un periodo storico in cui si aveva una scarsa conoscenza dei veri assetti di Cosa nostra. Negli anni successivi di lui avrebbero parlato i pentiti Salvatore Cucuzza, Francesco La Marca, Francesco Scrima, Francesco Anzelmo e i fratelli Sansone, indicandolo come un costruttore che dopo un periodo di vessazioni e danneggiamenti avrebbe deciso di entrare in affari con Nino Rotolo.

Spulciare l’elenco delle relazioni e degli affari di Pecora significa misurarsi con i pezzi grossi della mafia di un tempo. Non solo Nino Rotolo, ma pure Pippo Calò, Tommaso Spadaro e Giuseppe Ficarra. La figlia Caterina è sposata con Giovanni Motisi, capomafia di Pagliarelli, ufficialmente ancora un latitante ma sparito nel nulla da decenni. Pecora, inoltre, è consuocero di Salvatore Sbeglia, costruttore edile condannato per mafia e socio di Raffaele Ganci, boss del quartiere Noce di Palermo.

Nel corso del processo Gotha, costato la condanna all’ergastolo, tra gli altri anche a Nino Rotolo, vennero fuori le frizioni fra i due, tanto che il capomafia aveva iniziato a sbattere i pugni sul tavolo: pretendeva la “liquidazione” della sua parte di investimenti. La gestione di Pecora non piaceva più a Rotolo. Le microspie svelarono la richiesta di “perdono” avanzata dal costruttore al boss (“… quanti anni abbiamo passato insieme noi due?”) e i successivi diktat di quest’ultimo sulla gestione economica, stabilendo “cosa si deve fare e cosa non si deve fare… lo decideremo”.

“Abbiamo fatto grandi cose per me mi ha fatto tanto male male”, spiegava Rotolo entrando nel cuore della descrizione degli affari: “Gli ho dato un miliardo… quando un miliardo erano dieci miliardi di ora e non mi ha restituito una lira… ancora abbiamo conti in pedi… mi sono preso proprietà mal combinate perché soldi non ne ha… gli dovrei scippare la testa”.

E così oggi arriva la confisca di conti correnti e centinaia di immobili, fra ville e appartamenti, intestati agli eredi Maurizio Pecora, Antonina Pecora, Maria Crivello e alle società Immobiliare Pecora, Edilizia Pecora,Cactus di Giovanni Pecora, Venere snc, Edilizia Friulana Nord (con sede a Pordenone).

 


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