Dal "mai dire mai" | alla candidatura - Live Sicilia

Dal “mai dire mai” | alla candidatura

Piero Grasso

“Non saprei quale partito scegliere”, disse alcuni mesi fa Pietro Grasso. Erano i giorni in cui si parlava, con insistenza, della sua discesa in campo. Alcuni avevano pure cercato di convincerlo a fare il sindaco di Palermo.

La discesa in campo
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PALERMO – Alla fine Piero Grasso ha scelto. Ha scelto di scendere in politica. “Mai dire mai”, ribadì una domenica di giugno quando aprì le porte della sua casa palermitana per una lunga intervista pubblicata sul mensile S. Erano i giorni in cui si parlava, con insistenza, della sua discesa in campo. Alcuni avevano pure cercato di convincerlo a fare il sindaco di Palermo.

La voce l’aveva alimentata lui stesso, qualche mese prima. Durante la commemorazione di Piersanti Mattarella, fornì ai cronisti un assist fin troppo ghiotto: “Io in politica? Mai dire mai…”. Sulle colonne di S, però, andò oltre ammettendo di provare un certo imbarazzo di fronte ai partiti: “Non saprei quale scegliere, soprattutto ora”. D’altra parte Grasso non ha mai fatto mistero della necessità di una moralizzazione della politica. Evidentemente Pierluigi Bersani deve averlo convinto che non tutte le forze politiche sono uguali. Alla fine, il segretario e il procuratore antimafia si presenteranno in conferenza stampa a braccetto. E arriverà l’ufficializzazione della candidatura alle elezioni politiche del 24 e 25 febbraio prossimi. Grasso ha già chiesto l’aspettativa per motivi elettorali al Csm. La risposta, scontata e positiva, arriverà il prossimo 7 gennaio.

Da quel giorno Grasso sarà un ex magistrato. Ex lo sarebbe diventato a breve. A febbraio 2013 per lui sarebbe scattata la pensione. Giusto in tempo, dunque, per evitare di vestire i panni del magistrato prestato alla politica. Al netto di una manciata di giorni Grasso il magistrato lo ha fatto fino all’ultimo. Nato nel 1945 a Licata, la sua carriera togata ha inizio nel 1969 come pretore di Barrafranca. Dalla metà degli anni Settanta si è occupato di criminalità organizzata. Nel decennio successivo indaga a Palermo sull’omicidio del presidente della Regione, Piersanti Mattarella. Nel 1984 passa alla giudicante legando, e per sempre, il suo nome ad una delle pagine più importanti della storia giudiziaria del nostro Paese. Era, infatti, giudice a latere nel primo maxiprocesso a Cosa nostra (475 imputati), cominciato il 10 febbraio 1986 e concluso il 10 dicembre 1987 dopo una camera di consiglio di oltre un mese. Pietro Grasso (a fianco del presidente Alfonso Giordano) ha scritto le oltre 8 mila pagine della sentenza che inflisse 19 ergastoli e oltre 2.500 anni di reclusione alla potente Cosa nostra di allora. Dopo il maxiprocesso Grasso è stato nominato consulente della Commissione antimafia (presieduta da Gerardo Chiaromonte prima e poi da Luciano Violante), poi consigliere al ministero di Grazia e giustizia (il ministero era Claudio Martelli), e componente della Commissione centrale per i pentiti. Successivamente è stato sostituto e poi procuratore aggiunto alla Procura nazionale antimafia (guidata da Pier Luigi Vigna), applicato nelle Procure di Palermo e Firenze dove ha seguito e coordinato le inchieste sulle stragi del 1992 e del 1993.

Alla guida della Procura di Palermo arrivò nell’agosto del 1999. Sei anni di successi che portarono anche all’arresto di Bernardo Provenzano. Adesso la politica. Quella militante, non quella incrociata da magistrato che non gli ha risparmiato attacchi e polemiche. L’intervista su S arrivò all’indomani della frase pronunciata nel corso della trasmissione radiofonica La Zanzara. Parlò di un “premio speciale” da assegnare al governo Berlusconi per la lotta alla mafia. Apriti cielo. Successe il finimondo. Grasso provò a spegnere le polemiche. Spiegò che si era limitato a riconoscere al ministro Angelino Alfano la decisione di fare rientrare le misure di prevenzione nei poteri di proposta delle Direzioni distrettuali antimafia. Grasso lo disse “per onestà intellettuale” e non certo per dare merito al premier Silvio Berlusconi, di cui Alfano era allora ministro e oggi fedele braccio destro. E puntualizzò: “Nessuno può dimenticare tutti gli insulti che la magistratura ha ricevuto. Da matti utopisti ad antropologicamente diversi, a cancro da estirpare. In quelle parole si poteva intravedere, se non l’embrionale proposito di entrare in politica, i colori di una futura scelta, qualora l’avesse mai fatta.

L’ha fatta. Grasso si candida con il Pd. Anticipa la decisione, almeno nella tempistica dell’ufficialità, di Antonio Ingroia che di Grasso è stato aggiunto a Palermo. Anche Ingroia era stato tirato in ballo dal suo ex capo nell’intervista radiofonica che scatenò il putiferio. Gli chiesero se lui, come il collega, fosse disposto a presenziare ad un comizio. Lui rispose che non avrebbe partecipato, “ma non intendevo impedire a nessuno di partecipare”. Poi, aggiunse “come spesso ha detto il presidente Napolitano, che il magistrato oltre che essere autonomo deve anche apparirlo, nel senso che bisogna evitare che il cittadino possa collocarti in una fazione. Perché tu amministri la giustizia e devi apparire imparziale”.

A febbraio la pensione avrebbe chiuso la carriera in magistratura di Grasso. Una carriera in cui, come lui stesso ha più volte sottolineato, ha avuto come obiettivo il completamento del progetto di Giovanni Falcone. Del magistrato assassinato dalla mafia custodisce un prezioso regalo. Un accendino Dunhill che gira spesso fra le dita. Una sorta di amuleto. O forse, un oggetto per ricordare che la sua vita, come quella di Falcone, poteva già essere spezzata da tempo.

Dalla politica alla magistratura. Chissà se la sua scelta raccoglierà il consenso unanime ottenuto quando il Cms lo nominò prima procuratore di Palermo e poi nel 2005 al vertice dell’Antimafia nazionale. Setta anni fa il Consiglio superiore della magistratura gli diede il via libera con 18 sì e 5 astenuti. Erano i cinque togati della corrente di sinistra Magistratura democratica che scelsero in questa maniera di polemizzare con la norma della riforma dell’ordinamento giudiziario che, introducendo nuovi limiti di età per gli incarichi direttivi, di fatto tagliò fuori dalla corsa Giancarlo Caselli. Caselli a cui Grasso era subentrato alla procura di Palermo. Anche allora il Csm decise di mettere da parte i malumori delle correnti interne a Magistratura democratica che gli avrebbero preferito il presidente dei gip palermitani Giovanni Puglisi. L’impegno antimafia di Grasso gli spalancò le porte della Procura nazionale.


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