La "mappa del potere" dei Brunetto | L'inchiesta Ghota svela gli assetti - Live Sicilia

La “mappa del potere” dei Brunetto | L’inchiesta Ghota svela gli assetti

Dalla droga e dalle estorsioni deriverebbero i principali profitti illeciti del sodalizio criminale.

L'inchiesta
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GIARRE. Sarebbe suddiviso in “quartieri”, ognuno dei quali affidato a “scagnozzi”, il territorio gestito tra i comuni di Fiumefreddo di Sicilia, Mascali, Giarre e Riposto dal clan Brunetto, affiliato alla cosca Santapaola di Catania. L’operazione “Ghota”, condotta dai carabinieri della Compagnia di Giarre e coordinata dal sostituto procuratore di Catania Assunta Musella, ridisegna i ruoli all’interno del clan, che prende il nome dallo storico boss di Fiumefreddo di Sicilia Paolo Brunetto, deceduto lo scorso anno. Le ordinanze di custodia cautelare in carcere che hanno raggiunto Salvatore Brunetto, Pietro Carmelo Olivieri, Alfio Patanè, già detenuto per altra causa, e Rosario Russo, unite all’arresto nello scorso gennaio di Benedetto La Motta, di fatto decapitano il presunto sodalizio criminale. Sono droga ed estorsioni, per gli inquirenti, i principali business illeciti del clan. Tutti sono accusati di associazione mafiosa e, a vario titolo, di detenzione e spaccio di stupefacenti, detenzione illecita di armi da sparo ed estorsione.

L’INCHIESTA. Sono due i filoni investigativi che si intrecciano e sfociano nell’operazione “Ghota”. La prima indagine si apre all’indomani del ritrovamento del cadavere di Salvatore Vadalà, il 22enne di Fiumefreddo di Sicilia sparito improvvisamente il 27 novembre del 2008, e poi trovato senza vita dieci giorni dopo in un terreno di Mascali. La seconda, invece, dopo la scomparsa nel giugno del 2012 di Giorgio Curatolo, gravitante negli ambienti della criminalità organizzata e probabile vittima di lupara bianca. Entrambe le inchieste, condotte dai carabinieri della Compagnia di Giarre, non riescono a far luce sui responsabili di quegli episodi ma consentono agli investigatori di delineare le gerarchie all’interno dell’organizzazione criminale.

LE INTERCETTAZIONI. Nel febbraio del 2009 in un colloquio intercettato nel carcere di Bicocca tra Sebastiano Patanè e il figlio Alfio, nell’ambito dell’indagine sulla morte di Vadalà, si delineano i ruoli apicali all’interno del clan. Il padre spiega le disposizioni date al fratello Salvatore dal capo Paolo Brunetto. Dice Sebastiano Patanè: “…suo fratello gli ha detto: “quando non ci sono io c’è Neddu (Sebastiano Patanè). Quando non c’è Neddu c’è Saro (Rosario Russo)! Non fate niente se non glielo fate sapere a Neddu…”. L’uomo racconta al figlio anche dei suoi contatti con Vincenzo Aiello e Rosario Tripoto, esponenti di spicco di Cosa Nostra catanese. Rosario Russo, tra i quattro arrestati di mercoledì, sarebbe quindi, dopo la morte di Paolo Brunetto e Sebastiano Patanè, il successore naturale a capo del clan. Nell’estate del 2012 si apre l’indagine sulla sparizione di Giorgio Curatolo. E’ Giuseppe Calì, raggiunto nove mesi fa insieme a Benedetto La Motta da ordinanza di custodia cautelare in carcere per associazione mafiosa, a fornire agli investigatori un ulteriore tassello nella costruzione della geografia del clan. Intercettato mentre parla con la convivente di Curatolo, l’uomo spiega: “gli scagnozzi…hanno i quartieri….Melo comanda Giarre…Benito a Riposto, però è sempre la stessa famiglia…gli sciacquini siamo noialtri, poi ci sono gli scagnozzi”. Per gli inquirenti Melo è Pietro Carmelo Olivieri, Benito, invece, Benedetto La Motta. Il primo è ritenuto referente del clan Brunetto a Giarre, il secondo a Riposto. Ma i difensori di fiducia di Olivieri, Ernesto Pino e Cristoforo Alessi, hanno contestato venerdì scorso, durante l’udienza di convalida, la trascrizione dell’intercettazione che inchioderebbe il proprio assistito. Nel file audio, ascoltato davanti al Gip di Catania Giuliana Sammartino, non sarebbe contenuta la frase “…Melo comanda Giarre…”. Per questo i legali hanno presentato istanza di scarcerazione.


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