PALERMO – Il ruolo di Marcello Dell’Utri e i rapporti con Silvio Berlusconi quando era presidente del Consiglio sono il cuore del processo appena concluso e delle future indagini sulla cosiddetta Trattativa bis.
Le motivazioni della stangata dei giorni scorsi inflitta a boss, carabinieri del Ros e all’ex senatore di Forza Italia serviranno a chiarire come sia stato superato l’ostacolo di un eventuale ne bis in idem. Dell’Utri è stato condannato perché a partire dal 1993 avrebbe esercitato pressioni e minacce sul Cavaliere – il cui nome è stato indicato nel dispositivo della Corte d’Assise – che un anno dopo sarebbe divenuto premier. Secondo il legale dell’ex politico, l’avvocato Giuseppe Di Peri, non ci sono dubbi: Dell’Utri per gli stessi reati è stato assolto, visto che la Cassazione ha reso definitiva solo la condanna per concorso esterno relativamente ai fatti fino al 1992.
In Italia un imputato non può essere processato due volte per lo stesso reato. Un esempio per inquadrare il paletto del codice: se una persona è stata assolta per un omicidio non potrà essere successivamente condannato, neppure se spuntasse la fotografia che lo ritrae mentre commette il delitto.
Nel caso di Dell’Utri si è davvero in presenza di un caso di ne bis in idem? Il legale ne è convinto visto che il processo per il concorso esterno si è concentrato sulla stagione dei rapporti politici fra Dell’Utri e Berlusconi. Dalla creazione di un partito autonomista, Sicilia Libera, all’appoggio alla nascente Forza Italia; dall’interessamento di Vittorio Mangano per intavolare una trattativa all’incontro del ’94 al bar Doney nel corso del quale Graviano avrebbe detto, riferendosi a Berlusconi, che avevano ormai il paese nelle mani.
È vero, però, che il reato contestato nel processo sulla Trattativa è diverso. Non si parla più di concorso esterno, ma di minaccia a Corpo politico dello Stato. Una cosa è mediare tra i boss e l’imprenditore Berlusconi, un’altra veicolare le richieste della mafia a Berlusconi divenuto premier. Secondo l’avvocato Di Peri, però, le cose non cambiano: in ogni caso si tratterebbe di una valutazione diversa di una stessa prova. Se dovesse avere ragione il legale, qualora la sentenza di condanna reggesse in tutti e tre i gradi di giudizio, la Cassazione si troverebbe ad affrontare un giorno un conflitto fra due giudicati. La conseguenza sarebbe quella, comunque, di dovere applicare la più favorevole all’imputato. E cioè la condanna a sette anni per concorso esterno e non i dodici della Trattativa.
Non resta che attendere le motivazioni, dove è probabile attendersi una valutazione di attendibilità e autenticità dei dialoghi carcerari di Giuseppe Graviano. “Berlusca mi ha chiesto questa cortesia per questo è stata l’urgenza”, è uno dei passaggi delle conversazioni intercettate del boss di Brancaccio. Non immaginava di essere intercettato oppure ne era certo e recitava favore di microspia visto che si era accorto delle nuove telecamere piazzate in carcere?
Di certo Graviano è indagato, a Palermo, nel fascicolo “Trattativa bis” che potrebbe presto ingrossarsi con altri nomi. Nel frattempo Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri nei mesi scorsi sono stati iscritti nel registro degli indagati per le stragi di mafia del ’93. Caltanissetta e Firenze in passato li hanno indagati due volte, ma tutto è stato archiviato.
E anche nel processo per concorso esterno i giudici scrivevano per i fatti successivi al 1992 “che non è stata acquisita prova certa, né concretamente apprezzabile, del preteso accordo politico-mafioso stipulato tra cosa nostra e l’odierno imputato Marcello Dell’Utri”.