Bar Alba, l'arancina al burro | e quei giorni ormai perduti - Live Sicilia

Bar Alba, l’arancina al burro | e quei giorni ormai perduti

Le notizie che riguardano il bar Alba sono il pretesto per un viaggio con la macchina del tempo.

L’arancina del bar Alba c’è sempre stata, rigorosamente al burro. Ecco perché la notizia  del salvataggio del suddetto ritrovo di ghiottoni somiglia a un decreto benigno e attesissimo.

L’arancina del bar Alba – nella sua funzione simbolica dei tempi trascorsi- era una cornucopia di felicità, così risultava invisa ai nemici della contentezza e della pienezza di stomaco. Dissero che nell’ovale alla carne ci mettevano il Kitekat (pronunciato velocissimamente, tutto attaccato, alla palermitana) e che faceva malissimo. Sarà, ma non è mai morto nessuno. L’arancina “abburro” si lascia commemorare come un concerto di Mozart, suonato sul vinile con qualche adorabile grattino della puntina. Era sontuosa e polverosa del suo fasto. Risuonava perfetta, in bocca, in un contrappunto di archi e pianoforte a coda. Ogni chicco scatenava una semicroma di gusto. L’avrete capito: qui si celebra soprattutto la tenerezza di un amarcord che ognuno saprà declinare come crede nella contemporaneità.

C’era, l’arancina al burro del bar Alba, quando eravamo innamorati della ragazzina dai capelli rossi. Solo che lei, come tutte le ragazzine dai capelli rossi, non ci stava; perché preferiva Davide, il compagno di banchi, che canticchiava Baglioni, anche se conosceva Mozart. Erano pomeriggi estivi di inesausti corteggiamenti, di lettere, vergate in stile stilnovista, e recapitate secondo modalità e scenografie alla Amedeo Nazzari. Erano mattine “a labbra salate” di mare e di sospiri, in cui ogni spasimante rifiutato della ragazzina dai capelli rossi si confidava con un reciproco più sfigato di lui, meditando sull’opportunità di riunificarsi in partito o associazione. Erano sere di mesto ritorno a casa, nella penombra di un luglio, e la nonna, che conosceva il soffritto dei cuori infranti, aveva già comprato cinque arancine al burro. Esse stavano procacemente distese sulla tovaglia bianca di lino; sollevavano la depressione con un morso di paradiso che compensava l’arsura infernale di una cotta mai corrisposta.

C’era, l’arancina al burro del bar Alba, nelle ricreazioni del vicino liceo classico. Attendevi, nell’ora a venire, l’interrogazione di geometria. E avevi da affrontare mostri di ogni tipo: ghignanti cateti, acuminate ipotenuse, teoremi dall’atteggiamento ostile. Perciò, addentavi quel portento con la disposizione d’animo del condannato a morte, socchiudendo gli occhi e ascoltando gli angeli cantare. 

E c’era, l’arancina al burro del bar Alba, in certi giorni di sole, anche se pioveva. Perché eravamo tutti insieme, a casa. E mangiavamo proprio come ci amavamo, con inesauribile fame.

E c’era, l’arancina al burro del bar Alba, perfino in certi giorni melanconici, di spleen, che, seppure inondati dal sole, somigliavano a notti di incessante pioggia, come in una poesia di Verlaine. C’era, se camminavi sul marciapiede, in cerca di niente, appena stordito dal profumo di zagare e di gelsomini che Palermo erutta, quando vuole mostrarsi ai miracolati della sua intoccata bellezza. C’era e ti poggiava un unguento di frittura sul cuore, spalmandolo, fino al lenimento.

C’era una volta l’arancina, sposa delle papille, tra puntine che grattavano i dischi, Super Santos che volavano nell’ora della ricreazione, ragazzine dei capelli rossi a cui avresti regalato, interamente, il cielo. E c’è ancora: il presente, per fortuna è salvo. Ma i sogni incollati alla sua patina rugosa sono fuggiti via per sempre, impastati con la farina del rimpianto.

 


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