PALERMO- “Scusi, per la via Roccazzo?”. “Roccadsson, avi ca… ah ah ah!”. Il canuto buontempone in vena di battutacce non ha fatto i conti con l’angoscia di uno che si è perso, quando pensava di essere ormai arrivato, e ogni dettaglio, oltre il lunotto, gli appare, improvvisamente, straniero. Sto venendo da te, Daniele Discrede, Dani come gli amici ti chiamavano. Ho appuntamento con tuo fratello Vito, indimenticabile amico-compagno di scuola di partite di calcetto che si sono trasformate, negli anni, in attempate serate da pizzeria. E poi accade. Una segnaletica misteriosa accende una freccia nella mente. Ecco via Roccazzo, ecco la targa che commemora Daniele Discrede, commerciante assassinato per rapina, morto senza giustizia, dopo l’archiviazione delle indagini. Deve essere un po’ come in ‘Always’, film di Spielberg che narra di anime trapassate di ritorno per indicarti la strada. Lì era una questione di scelte fondamentali, qui di toponomastica. Ma va bene lo stesso. Always, sempre. Che bel suono davanti all’irreparabile.
Autopsia di un delitto
Eccoti, Daniele, con il tuo faccione rubizzo degli ultimi tempi, stilizzato da una mano gentile e la scritta: “In memoria di Daniele Discrede commerciante caduto al lavoro per mano vile. Uomo libero, generoso e coraggioso”. Ecco il tuo sorriso caldo, anche se marmoreo, che stride con le fredde conclusioni delle necessaria burocrazia del soccorso. Risalgono le parole sui fogli tra sopravvivenza e morte: “Luogo intervento: via Roccazzo. Lesioni riscontrate: soggetto con due fori di entrata da arma da fuoco in addome e uno al braccio sx. Cianotico, agitato. Durante il trasporto bradicardia. Al monitor progressivo rallentamento del ritmo sino alla asistolia. Ospedale di destinazione: Civico”. E ancora: “Sulla base degli attuali accertamenti medico-legali si può affermare che il decesso del signor Discrede Daniele sia addebitabile ad arresto cardiocircolatorio secondario a lesioni toraco-addominali determinate da colpi d’arma da fuoco a canna corta”. C’era tua figlia con te, quella notte, il 24 maggio del 2014. Ti hanno circondato. Hai reagito. Ti hanno sparato. Chi ti ha trovato che respiravi, ha tentato di tutto, per ridarti all’abbraccio delle tue bambine. Invano.
L’abbraccio di Vito
Ed ecco Vito che arriva. Tu eri un attaccante, Daniele. Tuo fratello, invece, un centrocampista. Una differenza oltre il campo di gioco tra l’assalto impetuoso, senza pensarci troppo, e le affettuose geometrie di un regista che guarda tutto dal mezzo. “Recitiamo un Padre nostro?”. “Sì”. L’abbraccio è il minimo consentito da questi giorni pandemici: uno sguardo e una mano sul cuore. “Se Dani fosse qui gli direi che siamo come lui, lottiamo e non molliamo. La targa in memoria è uno stimolo per andare avanti nella ricerca di verità e giustizia. Se fossimo all’uscita dal campo, gli ripeterei: hai visto fratello, abbiamo giocato fino alla fine. Lui è qui per sempre”. Always. Si avvicina una coppia, chiacchierano con Vito: “Suo fratello era una persona buona e generosa”. Altri fermano a osservare la piccola presenza monumentale, dopo l’inaugurazione lunedì scorso, per il settimo anniversario. “Scusi, ma so frati non aveva un cane?”. “Sì, Devil, da quando Dani è morto non esce più da casa”. I cani e le persone non dimenticano l’amore e lo conservano sempre. Always.
I fiori di mamma Angelina
Vito ripete: “Mia mamma si è già affezionata a questo piccolo giardino e sta pensando di piantare dei fiori”. Ci starebbero bene dei fiori rossi sulla terra e sarebbe dolce se un posto della memoria fosse custodito e non insozzato. Mamma Angelina è una di quelle donne che non hanno paura di portare nel cuore il doloroso peso della perdita di un figlio. Solo di recente ha visitato il luogo – lo spiazzo con un magazzino a pochi metri – dove Daniele è stato ucciso. La prima volta nel 2017. Chi c’era non dimenticherà mai i passi faticosi, dalla macchina al punto massimo dello strazio. E il racconto dell’ultima notte in ospedale: “Siamo entrati, era bellissimo, aveva il viso sereno, la sua espressione di ragazzo. Io ricordo tutto: il suo sguardo, la sua risata, la sua mano sulla spalla. Io con lui ci parlo, anche se lo psicologo sostiene che è sbagliato. Ma che ne sa? Ci parlo e lui mi risponde”. Il ragazzo che, morente, aveva sussurrato ai suoi soccorritori: “Pensate alla bambina, io sto bene. Pensate alla bambina, io sto bene…”.
Always per Dani
Che signor attaccante che eri Daniele. Come Garrincha, il re della finta. E fregavi il portiere sempre allo stesso modo. Una mossa all’interno, la caviglia che si snoda all’esterno, il tiro imparabile all’angolino. E ridevi. E se qualcuno se la prendeva a male, gli dichiaravi sciarra, ti scontravi, combattevi. Ma, siccome eri un buono, non c’era mai ombra di risentimento: le zuffe finivano con una pacca sulla spalla, con un abbraccio, con una birra. Avevi imparato il calcio nel brullo campetto sotto casa, “con i cappotti a far le porte delle squadre”. Lassù, c’era la finestra da cui pioveva il richiamo di Angelina. E non c’erano santi, quando scattava: ai generali bisogna obbedire. “Io ho fiducia – dice Vito, prima del commiato – la partita finisce al novantesimo. Non ci stancheremo mai di chiedere verità e giustizia”. Sì e ci sono i tempi supplementari e certi voli che somigliano al ritrovarsi, come in via Roccazzo, come in un film di Spielberg dove Richard Dreyfuss è un pilota che, prima di staccarsi da terra, ha modo di consumare il più tenero degli addii. E’ la storia di tutti, la storia di Daniele, di Vito e delle anime che non smettono di cercarsi con l’identica speranza. Il titolo di quel film non mente: ‘Always. Per sempre’.