Il Covid in carcere e i rischi di tutti: "Vacciniamo i detenuti"

Il Covid in carcere e i rischi di tutti: “Vacciniamo i detenuti”

I contagi al 'Pagliarelli' e gli appelli: mettiamo quel mondo in sicurezza.
I CASI AL PAGLIARELLI
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PALERMO- Le persone che stanno in carcere non sono poi diverse dalle persone che stanno fuori dal carcere. Di mezzo c’è un fossato che è dato da responsabilità morali e penali, in qualche caso irreparabili. Ma i sentimenti si assomigliano e vanno dalla speranza alla disperazione, come accade per tutti.

I contagi al Pagliarelli

Ecco perché sono umanissimi i sentimenti – non ultimi quelli del personale, perché, ricordiamolo, anche chi lavora in un carcere vive una sorta di stato di lontananza dal resto, senza averlo meritato – di una comunità che sta affrontando la pandemia in un luogo ristretto. Le paure fanno più paura. Sappiamo che al ‘Pagliarelli’ di Palermo sono 49 i detenuti trovati positivi al Covid, un numero che non sembra in crescita e che però avrà bisogno di controlli e di monitoraggio. In una cella non puoi scegliere di andare altrove, i contatti sono ravvicinati. Ci sono, appunto, i detenuti e ci sono i lavoratori – bene ripetere il concetto – che, spesso, mettendo un po’ di più del richiesto, costruiscono orizzonti nuovi.

“Vacciniamo i detenuti”

Rita Barbera (nella foto), oggi vicepresidente del centro ‘Pio La Torre’, in carcere, a dirigere e migliorare le cose, ci ha passato una vita. Sul punto ha le idee chiare: “In un istituto penitenziario c’è promiscuità e c’è il sovraffollamento, due situazioni gravi. Ecco perché i detenuti e il personale andrebbero vaccinati subito. Sui chi è in cella perché sconta una condanna, vorrei dire semplicemente questo: non lo abbiamo condannato a morte. Vogliamo mettere in sicurezza i cittadini? Bene, anche i detenuti lo sono e hanno il diritto alla tutela. So che si tratta di una battaglia impopolare, ma combatto da trentacinque anni per abbattere i pregiudizi di qualcuno che vorrebbe che si buttasse via la chiave, come si dice. Abbiamo un ordinamento penitenziario aperto, pensato per la riqualificazione delle persone. Non abbiamo altrettanta apertura nella società”.

“Rischi per tutti”

“Il problema fondamentale riguarda sempre i diritti umani – dice Pino Apprendi, presidente di ‘Antigone Sicilia‘ – ma siccome la gente è poco attenta, aggiungerei un dato: se i contagi dilagheranno, la popolazione carceraria finirà per occupare le terapie intensive degli ospedali e il sistema sarà ulteriormente a rischio per tutti. Non possiamo girare la testa dall’altra parte. Il carcere non è un luogo sicuro”. In un comunicato Antigone riassume: ‘Il caso dei 49 de­tenuti contagiati da Corona Virus al car­cere di Pagliarelli, accertati dopo che sono stati fatti i tamponi a tappeto, è​ un ulteriore campa­nello d’allarme, che deve convincere tut­ti sulla necessità di intensificare i co­ntrolli, attraverso periodici tamponi a tutta la popolazione carceraria sicilian­a. I detenu­ti studenti del carc­ere, a causa della sospensione delle lez­ioni di presenza, no­nostante fossero sta­te previste tutte le precauzioni necessa­rie ad evitare conta­tti e, della mancata fase di avvio della DAD, perderanno un anno scolastico. Nessuno può​ sottr­arsi a questo impegn­o, il carcere non ha spazi a sufficienza per creare isolamen­to sanitario ad un alto numero di contag­iati”.

Il carcere tra speranza e paura

Abbiamo raccontato il carcere e il suo mondo in diverse occasioni, registrando storie differenti. Se c’è una cosa che salta agli occhi è questa: lì si vive una condizione accentuata di fragilità, quali che siano i ruoli, le responsabilità e gli errori. Quello che si muove all’interno di un istituto compone, comunque, una zona di umanità, abitata da persone umane. Non è certo una discarica, il carcere. O, almeno, non dovrebbe esserlo.


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