CATANIA – Una delegazione della Fnsi incontrerà il ministro della Giustizia Orlando per aprire il confronto sui tanti, delicati, temi che riguardano la professione giornalistica stretta spesso nella duplice morsa delle minacce della criminalità e delle querele temerarie. È emerso nel convegno organizzato a Catania dall’Associazione siciliana della Stampa su “Il dovere-diritto di cronaca tra minacce, intimidazioni, pericoli reali e querele temerarie” svoltosi nel Palazzo dell’Esa nel giorno del 33° anniversario dell’assassinio mafioso di Giuseppe Fava.
“Al tavolo con il Ministro – ha detto il presidente della Federazione della Stampa, Giuseppe Giulietti – chiameremo a partecipare un insieme di associazioni e portatori di competenze e chiederemo anche ai cronisti, uomini e donne, di portare la propria testimonianza”. Al Convegno hanno preso parte, con Giulietti, il presidente dell’Unci Alessandro Galimberti, Claudio Fava, giornalista e vicepresidente della Commissione parlamentare antimafia, il presidente dell’Ordine di Sicilia Riccardo Arena, il sostituto procuratore della Dda di Catania Pasquale Pacifico, il cronista Michele Albanese, responsabile Legalità della Fnsi e il segretario regionale dell’Associazione della Stampa Alberto Cicero. I lavori sono stati coordinati dal consigliere nazionale della Fnsi Luigi Ronsisvalle.
Sulla gravissima pressione che sempre più le querele temerarie e le richieste di danni preventive (prima ancora che gli articoli siano pubblicati, come accaduto in alcuni casi) esercitano sulla libertà di stampa e sull’operato dei giornalisti, il presidente Giulietti ha sottolineato che “si tratta di un vero e proprio reato di molestia del diritto, previsto dall’art 21 della Costituzione, che viene interrotto, impedendo alla comunità di conoscere atti e fatti rilevanti. È vero che quasi il 90% delle querele non arriva al dibattimento, ma il solo fatto che questa venga recapitata a direttore e autore dell’articolo, mette a serio rischio l’esistenza delle testate e la serenità dei colleghi”.
Giulietti ha proseguito auspicando che il dispositivo della relazione finale “Sulle intimidazioni ai danni dei giornalisti e sui condizionamenti della mafia sul mondo dell’informazione” realizzato dalla Commissione bicamerale antimafia possa divenire una proposta di legge con primi firmatari la presidente, Rosi Bindi, e il vice presidente, Claudio Fava.
Sullo stesso tema Giulietti ha accolto la proposta lanciata da Fava di “accendere i riflettori e rilanciare le inchieste dei colleghi che subiscono pressioni, minacce e querele milionarie” creando una sorta di “scorta mediatica”.
“Il sito della Fnsi – ha detto Giulietti – pubblicherà gli articoli e le inchieste, dopo le necessarie verifiche”.
Il presidente della Federazione Nazionale della Stampa si è poi soffermato sul 74° posto occupato dall’Italia nella classifica di Reporters sans frontières (Rsf), termometro della libertà di stampa nel mondo: “Va fatta una riflessione critica per rimuovere quei nodi che sanciscono tale dato: conflitto di interessi, antitrust, interferenza permanente nella gestione della Rai, commissioni e autorità garanzia, numero cronisti minacciati e querele temerarie)”.
Giulietti ha poi riferito di avere preso contatto con il capo dello staff della segreteria del presidente del Consiglio Gentiloni per consegnare le firme raccolte per consentire l’accesso ai benefici della legge Bacchelli per il cronista Riccardo Orioles, tra i fondatori de “I Siciliani” di Giuseppe Fava, affetto da gravi problemi di salute e indigente.
I lavori erano stati aperti dall’intervento del segretario regionale dell’ Associazione siciliana della stampa, Alberto Cicero, il quale ha fotografato la pesante situazione che vivono i media siciliani.
“Registriamo – ha detto – il crollo del sistema delle tv private, prosegue la frana carta stampata: in Sicilia la crisi dei media è gravissima se consideriamo che anche i tre principali quotidiani stanno impiegando gli ammortizzatori sociali: in questa situazione, le redazioni sono ridotte al lumicino e anche lo spirito combattivo dei colleghi. La Sicilia, nel suo complesso, vive una crisi economica e sociale mai vista. È l’ultima regione in Italia per reddito e bilancio sociale. In un tale contesto abbiamo bisogna anche della politica che ci difenda”.
“Urge – ha concluso Cicero – una legge sulle querele temerarie: la casa brucia. Non c’è più tempo”.
Il consigliere nazionale della Fnsi Luigi Ronsisvalle ha indicato in “50mila, sui 116 mila iscritti all’Ordine, i giornalisti attivi in Italia” sottolineando come solo “16mila siano i contrattualizzati e 34mila i precari”.
Ronsisvalle si è poi soffermato sul numero delle querele per diffamazione: 5.125 soltanto lo scorso anno.
“L’87% – ha detto – viene respinto prima ancora del dibattimento per palese infondatezza. Ma le querele riescono comunque a destabilizzare l’equilibrio delle testate e degli stessi colleghi che le subiscono” .
Per il presidente dell’Ordine dei giornalisti di Sicilia, Riccardo Arena, “finché per legge non sarà prevista un’azione ai danni di chi presenta una querela infondata, magari con una sanzione pari al doppio del risarcimento richiesto, avremo una pressione che limita nostra libertà”.
Arena ha poi puntato l’attenzione sulla crisi dei quotidiani (“dal 2011 a oggi – ha detto – sono stati persi 1,7 milioni di copie”), e sulla necessità di “meglio regolamentare l’accesso alla professione”, puntando l’indice su un “giornalismo spesso decrepito e frettoloso”.
Il sostituto procuratore della Dda Pasquale Pacifico ha ricordato come nella lotta alla criminalità organizzata “le categorie che hanno pagato il più alto tributo sono quelle dei magistrati, degli esponenti forze dell’ordine e dei giornalisti”.
Pacifico ha poi evidenziamo come “il filtro dell’autorità giudiziaria funziona, dato che l’87% delle querele viene fermato nella parte della indagine preliminare. Il problema però esiste: il giornalista indagato ha bisogno di tutela legale. Nel mio spaccato, spessissimo la querela è archiviata senza neanche sentire il giornalista. Resta il fatto che le querele temerarie possono portare al giornalismo difensivo. Il giornalismo di inchiesta, quello che funge da spunto per l’autorità giudiziaria, quasi non esiste più”.
Il sostituto della Dda ha anche toccato la questione sempre centrale della tutela delle fonti: “Su tale tema la giurisprudenza europea non consente l’azione penale e dunque la normativa italiana andrebbe adeguata. C’è volontà politica? Io ritengo di no”.
È stata poi la volta della testimonianza del giornalista Michele Albanese che da anni vive sotto scorta per i suoi articoli sulla ‘ndrangheta.
“Quello del giornalista – ha detto – è uno dei mestieri più delicati. Ho cercato di lavorare sulla mia realtà analizzando i contesti, per esempio le incrostazioni fra apparati criminali ed economia. Mi sono fatto tanti nemici, ma ho cercato di dare il mio contributo. Anche se il nostro lavoro ha ruolo importantissimo il giornalismo d’inchiesta sta scomparendo. Nessuno vuole farlo e gli editori ormai quasi non garantiscono l’assistenza legale ai loro giornalisti”.
Il presidente dell’Unione cronisti italiani Alessandro Galimberti ha puntato l’attenzione sull’innalzamento delle multe penali per diffamazione: “cresciute da mille a diecimila euro fino a cinquantamila se c’è consapevolezza”.
“Chi può permettersi – si è chiesto Galimberti – di pagare queste somme? È evidente l’effetto deterrente di questa norma. Ed è inaccettabile il testo com’è stato riformulato: così si va verso la morte per autoestinzione”.
Il presidente dell’Unci ha spiegato che sono tre i titoli di danno per diffamazione (98% di casi colposa): condanna penale; multa penale (equa riparazione); procedimento civile oltre modo censorio.
“Si erano impegnati – ha detto – a togliere l’equa riparazione, istituto vecchio e superato, ma non l’hanno fatto. Ma il vero problema sono le citazioni temerarie per danni, per milioni di euro”.
Galimberti ha sottolineato come vada difeso il giornalismo o i giornalismi e non il giornalista: “Dobbiamo stare attenti a non aprire un ombrello su soggetti che non lo meritano mentre dobbiamo salvaguardare i principi”.
Claudio Fava ha esordito sottolineando il senso del dibattito nel giorno dell’anniversario dell’omicidio del padre.
“Vogliamo salvare – ha detto – l’idea della memoria, ma c’è sempre il rischio di ridurre tutto a una celebrazione che si conclude lì. Oggi invece si sono trovati il tempo e il luogo giusto per un ragionamento sulla professione giornalistica. La Commissione antimafia per la prima volta in cinquant’anni ha dedicato una relazione al rapporto fra mafia e informazione che è stato il frutto di un anno di lavoro, con centinaia di audizioni, migliaia di pagine di verbali. Il bilancio è consolante e preoccupante. Consolante perché in una terra come la Sicilia, dove otto colleghi sono stati ammazzati, è oggi possibile ripartire e guardare a una generazione di giovani giornalisti che hanno raccolto il testimone della battaglia, senza clamore, senza spot. Tanti sono quelli che non riempiono copertine, ma lavorano in luoghi di frontiera”.
Fava cita i casi di Ester Cassaro e di Giovanni Tizian e aggiunge: “La nostra inchiesta fa capire che c’è una generazione di giornalisti giovani e disperati. Pallottole, taniche di benzina, minacce: ci sono molti altri strumenti per indurre all’autocensura, ad adeguarsi”.
“Il 5 gennaio cos’è? – si è chiesto Fava – Vorrei provare a rispondere che non ha più nulla rispetto a quello di 33 anni fa. Molte cose sono cambiate in meglio: 33 anni fa il procuratore della Repubblica era corrotto; sotto la guida di Salvi in Procura a Catania c’è stato un cambiamento importante. Oggi però il profilo delle cosche è lo stesso di 40 anni fa. Il clan Ercolano controlla il 100% degli appalti di movimento terra. Sulla vicenda dell’editore Mario Ciancio: il mio problema non è l’esito della vicenda giudiziaria ma capire come noi leggiamo questa vicenda nella storia di questa città, i compromessi, i silenzi. Trentacinque anni fa c’erano i cavalieri del lavoro. Poi abbiamo scoperto che la più grande azienda del Meridione, ha rappresentato terminale di fondi mafiosi”.
Claudio Fava ha concluso parlando del caso Orioles, “collega che vive con 300 euro di pensione sociale, in gravi condizioni fisiche e materiali. La firma della petizione per l’applicazione della legge Bacchelli sarebbe un atto di riconoscimento da parte dei colleghi catanesi. Il modo migliore per ricordare Giuseppe Fava”.