La morte in carcere di Simone Melardi: l'intervento di Ardita - Live Sicilia

La morte in carcere di Simone Melardi: l’intervento di Ardita

Il magistrato catanese avverte sulla necessità distinguere tra la posizione dei mafiosi da quella di tossicodipendenti o malati di mente.
LA RIFLESSIONE
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CATANIA – La morte di Simone Melardi, catanese di 44 anni, morto impiccato nel carcere di Caltagirone, riapre il dibattito non solo sui troppi suicidi all’interno degli istituti di pena. Ma anche su come debbano essere accompagnati gli autori di reati che manifestano problemi psichiatrici o dipendenze. La questione è una di quelle che fa tremare le vene e i polsi.

Dopo la discesa in campo dell’associazione Antigone, è intervenuto via social anche Sebastiano Ardita, membro del cms, che così riassume i termini della questione: “Un tossicodipendente di 44 anni – ha scritto – si è impiccato nella sua cella dov’era recluso per il furto di 180 euro, di un telefonino e di un portafogli sottratti al botteghino del teatro Massimo Bellini di Catania e subito restituiti ai legittimi proprietari. Mentre si discute del ritorno in libertà dei mafiosi stragisti – aggiunge – questo è il destino della fascia bassa dei detenuti comuni, oramai alla mercé degli altri detenuti con la “autogestione degli spazi” nel sistema delle cosiddette “celle aperte””.

Ardita pone un forte distinguo, avanzando una sostanziale differenza tra quanti sono in carcere perché esponenti della criminalità organizzata e gli altri- “Tossicodipendenti e malati di mente – dopo la improvvida chiusura degli OPG (ospedali psichiatrici giudiziari, ndr) – sono una fetta importante del mondo carcerario. Meno Stato è presente in carcere, più saranno sottomessi alle gerarchie criminali che rendono invivibile la loro detenzione. I deboli continueranno a morire e a suicidarsi e i mafiosi, che comandano, chiederanno ed otterranno in nome di quei morti la libertà anticipata”.


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