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Il gran pasticcio delle intercettazioni

Sabato 19 giugno torna in edicola "S", che da questo numero conta anche sulla collaborazione di Giuseppe Ayala, già pm al maxiprocesso, consigliere di Cassazione, senatore e per tre volte sottosegretario alla Giustizia e oggi consigliere della corte d'appello dell'Aquila. Ecco cosa pensa Ayala del ddl intercettazioni.
In edicola con S dal 19 giugno
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4 min di lettura

Giuseppe Ayala

di GIUSEPPE AYALA Seguo con sincera preoccupazione il tormentato iter parlamentare delle nuove norme sulle intercettazioni telefoniche fortemente volute dal Governo. Confesso che, per fortuna, il mio stato d’animo trova a tratti conforto in momenti di autentica ilarità suscitata dalla lettura di alcuni emendamenti che mi sembrano più adatti a vivacizzare la nota trasmissione televisiva “Dilettanti allo sbaraglio” piuttosto che a mortificare l’austerità delle aule parlamentari. Si rafforza, perciò, la mia originaria posizione che negava la necessità di dover ricorrere ad una nuova legge in una materia tanto delicata.
Se ho ben capito, infatti, l’intervento è ritenuto necessario per la soluzione di due problemi: la tutela della privacy delle persone comunque coinvolte e l’abbattimento dei costi che l’eccessivo ricorso a tale strumento d’indagine comporta. Nessuno ha mai parlato di altre e diverse esigenze. Ebbene, mi dichiaro, senza riserva alcuna, pienamente d’ accordo. C’ è però una considerazione di fondo che non può in alcun modo essere elusa. Le intercettazioni telefoniche, al pari di quelle ambientali, sono uno strumento prezioso per le indagini sui delitti che lo Stato ha il dovere di perseguire. Una loro ulteriore limitazione rischierebbe, pertanto, di risolversi in un grosso favore a chissà quanti criminali, magari della peggior specie. Si tratta, in buona sostanza, di conciliare esigenze opposte, ma entrambe meritevoli di attenzione. Che fare, allora? Diamo un’ occhiata ai suggerimenti che seguono.

L’aumento di pena per gli autori delle fughe di notizie è del tutto velleitario visto che costoro non vengono mai individuati. C’è solo da sperare che in futuro possano finalmente essere smascherati. Ridurre i costi è un’altra esigenza che merita indubbiamente ogni attenzione. Il giovane ministro Alfano ha, in proposito, affermato una cosa non vera. Conoscendolo, escludo che l’ abbia fatto in mala fede. Il prezzo del noviziato è in agguato per chiunque. Le spese per le intercettazioni telefoniche non assorbono affatto, come pure ha affermato solennemente il Ministro, un terzo del bilancio complessivo della Giustizia. Ma soltanto di uno dei capitoli di questo. Il rapporto va, infatti, riferito ai circa 7 miliardi di euro che lo Stato destina a quel Ministero e i circa 200 milioni di euro che vengono annualmente spesi per le intercettazioni. Siamo ben al di sotto del 30%. Lo zero va eliminato. È di troppo.

Ma ciò non toglie che una riduzione sia pur sempre auspicabile, anche perché è vero che le intercettazioni italiane sono in realtà un po’ troppe. C’è chi ha esagerato, insomma. È tempo che si dia una calmata. Sarebbe scandaloso se il Governo, anzicchè prevedere ulteriori contrazioni alla possibilità di avvalersi di tale strumento d’indagine, fissasse annualmente un ragionevole tetto di spesa per ciascun Ufficio Giudiziario? Saranno, poi, i capi a selezionare gli interventi per evitare di trovarsi, prima o dopo, privi di fondi e, quindi, nella impossibilità di disporre nuove intercettazioni. Un po’ di sano pragmatismo non è forse tempo che venga introdotto anche nel disastrato mondo della Giustizia Italiana?

Ma, a proposito di pragmatismo, c’ è un’altra via da percorrere. E non in via alternativa, ma cumulativa. Le aziende che materialmente effettuano le intercettazioni disposte dall’Autorità Giudiziaria altro non sono che le stesse che operano sul mercato della telefonia in forza di concessioni governative. Perché il Governo non prova a richiamarle alla necessità di procedere ad una sensibile riduzione del prezzo richiesto per le intercettazioni in considerazione della indubbia finalità pubblica di tale servizio? È immaginabile un diniego da parte di qualcuna delle predette società? Secondo me no. Non vedo come potrebbero giustificarlo tenuto conto della esigua incidenza dello sconto sui loro pingui bilanci. La tutela della privacy, poi, non potrebbe essere adeguatamente realizzata riesumando la cadaverica deontologia professionale?

Il Governo convochi gli organi rappresentativi degli editori dei giornali e dei giornalisti e chieda loro di assumere un impegno, un vero e proprio “gentlemen agreement,” come direbbero gli inglesi. Non verranno pubblicate intercettazioni telefoniche ancora coperte dal segreto e mai quelle riguardanti persone estranee alle indagini. Sarebbe un bel risultato. Per il Governo, certo. Ma ancor di più per tutti i protagonisti dell’informazione chiamati a dare concreta prova di non voler affatto sottrarre il loro prezioso contributo alla crescita civile del Paese anche attraverso una sana resipiscenza, visti gli innegabili eccessi di cui si sono macchiati. Fatto questo il risultato ottenuto sarebbe duplice: privacy ragionevolmente tutelata e spese congruamente ridotte.

Non ci sarebbe, a questo punto, proprio nessun motivo per introdurre restrizioni all’attuale disciplina che regola la materia. Chi viola la legge in questo Paese di vantaggi ne ha già troppi. Evitiamo di offrirgliene altri. E, soprattutto, cerchiamo di porre le leggi vigenti al riparo dalle incursioni dilettantesche degli odierni legislatori. È proprio questa, più di ogni altra, la vera cosa buona e giusta. Amen.


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