(di GIOVANNI BIANCONI-“Corriere della Sera”) C’è il mistero del documento contraffatto per tirare in ballo il prefetto De Gennaro, che Massimo Ciancimino non ha ancora saputo svelare. C’è il mistero dei candelotti di dinamite nascosti in casa, sul quale non ha dato una versione convincente tanto da finire sotto inchiesta anche per il possesso di esplosivo. E c’è il mistero del tesoro di suo padre – «don Vito», l’ex sindaco mafioso di Palermo – che lo Stato sta ancora cercando di individuare e recuperare. Una vicenda, quest’ultima, che l’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata definisce «di particolare complessità».
Nella relazione sull’attività svolta nel 2010, redatta dal prefetto Mario Morcone prima di mettersi in aspettativa da direttore dell’Agenzia per candidarsi a sindaco di Napoli, un paragrafo è dedicato proprio al «sequestro in danno di Massimo Ciancimino», condannato in appello a tre anni e quattro mesi di carcere per riciclaggio. Finora è stata individuata una piccola parte del tesoro se, come è scritto nella relazione, «la vicenda giudiziaria, che si sviluppa secondo le indicazioni del presidente della sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo, riguarda valori che oscillano tra i 300 e i 500 milioni di euro», distribuiti in «investimenti finanziari e beni intestati e persone fisiche e di compendi aziendali».
Una cifra rilevantissima nascosta, secondo l’Agenzia, dentro i confini nazionali ma soprattutto all’estero, in Romania. «Una parte di quote societarie e di beni – si legge nel rapporto – è stata individuata in Italia, mentre l’asset di maggior valore economico, attraverso la Sirco Spa, società holding oggi svuotata, e l’Agenda 21 s.a., società di diritto romeno, risulterebbe controllare un enorme volume di affari che investe il ciclo dei rifiuti: dalle discariche presenti in Romania (ivi compresa una considerata tra le più grandi d’Europa, 150 ettari di estensione per 40 metri di profondità), alle società di selezione e trasformazione, a quello di smaltimento di fanghi tossici».
Il lavoro di chi deve individuare e tentare di intestare allo Stato quei beni non è finito: «L’amministratore finanziario nominato dal tribunale di Palermo e un ufficiale in servizio presso l’Agenzia nazionale stanno operando, anche direttamente in quel Paese, per il recupero del patrimonio, investendo la nostra ambasciata e il magistrato italiano di collegamento presente a Bucarest».
Allo stesso modo non sono terminate – ma anzi sono solo all’inizio, per individuare l’eventuale suggeritore o «puparo» che ne gestisce le mosse – le indagini sugli ultimi guai giudiziari che hanno investito Ciancimino jr. La perizia della polizia scientifica che ha provocato l’arresto ordinato dalla Procura di Palermo è stata trasmessa ai magistrati di Caltanissetta che pure procedono contro il figlio di «don Vito» per il reato di calunnia, sempre ai danni del prefetto De Gennaro, in relazione ad altre sue affermazioni. Quella relazione dimostra come il nome «De Gennaro» sia stato estratto da un altro foglio manoscritto da Vito Ciancimino e applicato su quello in cui erano indicati i nomi dei funzionari dello Stato componenti il presunto «quarto livello» collegato – secondo ciò che Massimo ha attribuito al padre, morto nel 2002 – all’associazione mafiosa. A proposito di scambio di documenti tra gli uffici inquirenti che lavorano su fatti evidentemente collegati (non solo l’ipotizzata calunnia a De Gennaro, ma anche il movente delle stragi e la presunta trattativa tra Stato e mafia) nella riunione romana dell’altro giorno il procuratore nazionale antimafia Grasso ha emesso una direttiva per la trasmissione di atti processuali da una Procura all’altra. Un modo per evitare le incomprensioni e le tensioni che hanno provocato l’avvio di accertamenti da parte del Consiglio superiore della magistratura e del procuratore generale della Cassazione.