PALERMO- Una volta, per un cronista, era più complicato cercare una fotografia. Si ricorreva soprattutto ad amicizie e a contatti trasversali con chi riusciva a mettere le mani su una carta d’identità purchessia. E sul giornale venivano stampate funeree foto-tessera, dall’espressione accigliata o compunta. Oggi, si ricorre a Facebook, con un briciolo di giornalistica e cinica fortuna. Perciò l’immagine è talvolta dissonante col contenuto. In un articolo che narri di un tragico incidente stradale, lo scatto spesso ritrae la vittima allegra, solare, suggerendo al lettore che fosse ignara – come lo erano, in verità, anche gli sfortunati protagonisti delle foto-tessere – del proprio destino.
E su fb, si può rintracciare il malvivente “caldo caldo”, appena sistemato in pagina, con la noncuranza di una mattinata di lavoro, tra notizie che vanno e vengono. E’ il caso di Santo Chiovaro, rapinatore arrestato a Cefalù, immortalato da un video che l’ha ripreso a volto scoperto, in un maldestro tentativo di colpo. Eccolo, Chiovaro, nella duplice veste di un riflesso dopo l’arresto qui di fianco e nella posa familiare sui social network in copertina, fotografato accanto a una bambina. Sul suo profilo si legge qualcosa. Si accede alla sua rete di amicizie. Si osservano con un po’ di tenerezza i suoi affetti. E pure il cronista viene colto da un morso non previsto di tenerezza, di compartecipazione della medesima umanità virtuale che ci rende simili per finta e diversi sul serio, diversamente umani.
Siamo su facebook e siamo lontani: guardie e ladri, cronisti e rapinatori. Chissà perché – nella sacrosanta condanna del crimine – sorge una pungente domanda non volontaria. Che fa la bambina del rapinatore, adesso? Domanda di riserva: perché un papà rapina una banca? (rp)
