CATANIA – I resti di una Tricora coperti dall’asfalto. Questo il tesoro sommerso di Via Santa Barbara, una strada che ai più può sembrare una via come tante altre è invece un contenitore di ricchezza culturale. All’altezza del civico 2 e 4 sono ben visibili due quadrotti di cemento armato con alcune finestrelle di vetro che servivano per guardare gli scavi ed i mosaici portati alla luce negli anni ’50 e poco più in là una botola, arrugginita, dov’era possibile accedere al reperto storico.
Franz Cannizzo, libero professionista catanese, nella sua collezione di foto storiche ricorda gli scavi effettuati per la sistemazione della rete fognaria tra la via Garibaldi e via Pozzo Mulino che portarono alla luce una parte dell’antico manufatto. Gli scavi furono seguiti da Enzo Maganuco e Giovanni Rizza che ritennero la Tricora facesse parte di una basilica paleocristiana, la cui navata si troverebbe sotto gli edifici esistenti e datarono la costruzione tra il V e VI secolo.
Le Tricore sono edifici con un architettura molto particolare, un vano centrale quadrangolare con gli absidi sui tre lati da qui il nome, il vano centrale ricoperto da una cupola richiama la volta celeste. Architetture pagane la cui funzione ancora non è chiara. Quelle scoperte in città sono la cappella Bonaiuto, i Triconchi in via Dottor Consoli ed infine la Tricora in via Santa Barbara.
“I quadrotti di via Santa Barbara sono ormai coperti dal cemento armato – spiega Franz Cannizzo – coprendo anche le finestrelle che servivano per ammirare i mosaici presenti all’interno della Tricora che viene fuori negli anni cinquanta, lasciata alla fruizione dei visitatori con delle scale per accedervi, scompaiono pure queste, siamo alla fine degli anni ottanta – continua Cannizzo – praticamente un sito archeologico visitabile fino agli anni ’70 nel decennio successivo viene come dimenticato, coperto, nascosto, abbiamo una costruzione di grande valore che viene lasciata coperta, dando uno sguardo alla mia collezione di foto d’epoca viene fuori la storia di Catania e del suo sottosuolo ricco, ricchissimo, di reperti dal valore culturale e architettonico indubbio – continua Cannizzo – e grazie alla mia passione ho riscoperto una città con una storia immensa, si potrebbe pensare ad una caratterizzazione turistico-culturale a livello europeo”.
Gli scavi archeologici del professore Giovanni Rizza portarono alla luce, in via dottor Consoli, nell’estate del 1954 la necropoli ed la sua pavimentazione decorata da mosaici risalenti al VI secolo dopo Cristo che, successivamente, furono “strappati” e conservati al Castello Ursino. Il 31 Marzo del 1955 Giovanni Rizza, durante gli scavi in via Santa Barbara, scopre la basilica tricorea paleocristiana e il 5 maggio dello stesso anno viene fuori un dorso marmoreo che rappresentava una figura genuflessa con mani legate dietro la schiena, probabilmente, si tratta di un martire durante la decapitazione, si pensò a Sant’Euplio che fu martirizzato, secondo la tradizione popolare, il 12 Agosto del 304 d.c. vicino alla zona del ritrovamento.
Queste solo alcune delle scoperte di Giovanni Rizza, un patrimonio sommerso dall’asfalto e dal cemento. L’archeologo, originario di Monterosso Almo, scrisse una lettera aperta dopo il ritrovamento di una Basilica del VI secolo d.c. sempre nella zona di via Dottor Consoli e via Sant’euplio, “la particolarità di questo edificio sacro, a parte le tombe cristiane che lo circondano, i mosaici e la stessa estensione è l’altare al centro, una sistemazione tipica delle basiliche cristiane dei primi secoli – scriveva Rizza – propongo di fare in zona una sorta di polmone verde, si tratta del ritrovamento più importante della Catania dei primi anni del cristianesimo”.