PALERMO – Basta una parolina per alzare un tetto. Non è difficile. Basta aggiungere la parolina magica “fiscale” al comma di un articolo apparentemente rivoluzionario. Per evitare, in un colpo solo, un po’ di tagli alle buste paga dei dirigenti generali della Regione siciliana.
Era stata lanciata come una norma storica. Epocale. In parte lo è, per carità. Perché comunque un tetto lo fissa. Ma la “portata” di quel limite di 160 mila euro agli stipendi, voluto dal presidente della Regione Rosario Crocetta, rischia di tramutarsi in qualcosa che somiglia a un bluff. A un’illusione.
“Da adesso in poi, nessun dirigente potrà costare alla Regione più di 160 mila euro lordi annui”, aveva annunciato il governatore. Una norma finita poi in Finanziaria. E già i numeri, a dire il vero, avevano suscitato i primi dubbi. Inizialmente, il presidente della Regione aveva parlato di un tetto di 150 mila euro. Poi, nel giro di una notte, quel tetto si è alzato di un “diecimila”. Perché? E perché aggiungere la parolina magica alla norma?
Ci eravamo cascati un po’ tutti. Parlando di tagli in vista per i dirigenti generali di Regione e partecipate. Già, perché almeno il 90% di loro costa alla Regione ben più di 160 mila euro. E invece, la parolina magica consentirà alla stragrande maggioranza di loro di mantenere “intatti” i propri stipendi. In qualche caso, addirittura, il tetto è così alto che – in linea teorica, ovviamente – resta un po’ di spazio per qualche aumento.
Il limite di 160 mila euro, infatti, si legge nel testo della “manovrina” approvata un mese fa, “si applica al trattamento economico annuo complessivo fiscale dei dipendenti dell’Amministrazione regionale e degli enti di cui all’articolo 1 della legge regionale 15 maggio 2000 , n. 10, presso cui si applica il contratto collettivo dei dipendenti regionali, nonché, in quanto compatibile al trattamento economico annuo complessivo dei dipendenti degli enti pubblici regionali, delle società partecipate dalla Regione siciliana e comunque di tutti gli enti, di natura pubblica o privata, che ricevono a qualunque titolo trasferimenti, contributi o corrispettivi a carico del bilancio della Regione siciliana, compreso il settore sanitario”.
Il trattamento economico annuo complessivo “fiscale”, insomma, non equivale allo stipendio che noi possiamo desumere, ad esempio, dal sito ufficiale della Regione. Per trattamento “fiscale” si intende il trattamento imponibile. Cioè “alleggerito” dalla quota destina all’Irpef. Senza entrare troppo nei tecnicismi della norma, possiamo tradurre in questo modo: il tetto dei 160 mila euro lordi annui previsti dalla legge, in realtà, va considerato virtuale. Il “vero” tetto da considerare oscilla invece tra i 172 e i 175 mila euro annui.
Casualità vuole, che il 90% dei dirigenti generali della Regione guadagni al di sotto dei 172 mila euro. Ma al di sopra dei 160 mila. Per farla breve, la “parolina magica” ha evitato a tutti loro un taglio dello stipendio, in alcuni casi superiore ai 10 mila euro annui. Tra questi – stando ai dati pubblicati sul sito ufficiale della Regione siciliana – ecco i 175 mila euro lordi la spesa per lo stipendio del dirigente generale del dipartimento Affari extraregionali Maria Cristina Stimolo. Poco meno quella per la retribuzione del dirigente generale dell’Ufficio speciale Audit, Maurizio Agnese. Il direttore del dipartimento attività produttive Alessandro Ferrara, invece, aggiunge a uno sipendio lordo di circa 170 mila euro, anche alcuni incarichi minori, tra cui quello di 10 mila euro concesso dall’assessorato ai Beni culturali per il restauro della chiesa di Santa Maria delle Stelle a Comiso. Stipendio da 170 mila euro lordi anche per il ragioniere generale Mariano Pisciotta. Per il resto, gli altri stipendi oscillano tra 165 e i 168 mila euro lordi. È il caso di Vincenzo Falgares (Programmazione), Pietro Lo Monaco (Foreste demaniali), Vincenzo Di Rosa (Corpo forestale), Calogero Foti (Protezione civile), Luciana Giammanco (Funzione pubblica), Giovanni Bologna (Finanze), Giuseppe Morale (Autonomie locali), Rosaria Barresi (Agricoltura), Giuseppe Arnone (Infrastrutture). Stesse cifre, più o meno, anche per i due direttori dell’assessorato Sanità, Ignazio Tozzo e Salvatore Sammartano, per il capodipartimento al Turismo Alessandro Rais. Per tutti loro, grazie alla parolina magica, nessun taglio.
Ma il bluff potrebbe essere ancora più “geniale”. Intanto perché i direttori generali delle società partecipate, parificati nella norma ai dipendenti regionali di ruolo, hanno firmato un contratto individuale. Non il contratto collettivo dei Regionali. Ed è evidente che una decurtazione “ex post” a una retribuzione sottoscritta davanti a un notaio aprirebbe facili e prevedibilissimi contenziosi.
Ma non solo. Un passaggio nella norma approvata all’Ars sta sollevando dubbi anche tra gli addetti ai lavori. Persino negli uffici di Palazzo d’Orleans e della Funzione pubblica. “L’eventuale adeguamento annuale dei limiti retributivi di cui al presente articolo si applica solo in corrispondenza dei miglioramenti retributivi derivanti dalle procedure di contrattazione relative al contratto di appartenenza”. Secondo molti, insomma, questo potrebbe avere un ulteriore effetto paradossale. Il tetto, infatti, ha una validità triennale: dovrebbe (il condizionale è davvero d’obbligo) essere operativo dal primo luglio prossimo, fino al 31 dicembre del 2016. Ma non è così certo – nonostante le volontà espresse da Crocetta – che con l’arrivo del nuovo mese, quei tagli diventeranno effettivi. La parte della norma cui accennavamo, infatti, rimanderebbe al rinnovo dei contratti dei dirigenti l’eventuale introduzione del tetto. L’ultimo rinnovo, per intenderci, risale a sette anni fa. Il prossimo, se arriverà, potrebbe giungere quando la validità triennale di quel taglio sarà già scaduta. Una circolare esplicativa della Funzione pubblica dovrebbe presto chiarire questi dubbi. O mettere nero su bianco il fatto che la rivoluzionaria norma del governo Crocetta è solo un ingegnoso, geniale bluff.