Immigrati trattati come bestie: processo per 11 a Catania

Immigrati trattati come bestie: processo per 11 a Catania

Storie atroci quelle raccontate. Sono tutti accusati di associazione a delinquere finalizzata allo sfruttamento dell'ingresso e della permanenza illegale dei migranti.
ORGANIZZAZIONI CRIMINALI
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CATANIA. Dai Paesi del Corno d’Africa, masse di disperati in cerca di rifugio in Italia – in rotta nel Mediterraneo per provare, dalla Sicilia, a raggiungere la Svezia o la Norvegia – sarebbero finiti otto anni fa in mano a una rete internazionale di criminali, provenienti perlopiù dal loro stesso Paese, l’Eritrea. Una organizzazione dotata di una pericolosa cellula in Italia, tra il Catanese e il Ragusano. In undici, dieci eritrei e un guineano, sono finiti sotto processo, per un dibattimento che entrerà nel vivo mercoledì prossimo, 9 novembre, dinanzi al Tribunale di Catania, con l’accusa principale di associazione a delinquere finalizzata allo sfruttamento dell’immigrazione clandestina. Secondo l’informativa dello Sco e della Questura di Ragusa, confluita in un fascicolo d’inchiesta durato anni, e partito nel 2014 sotto il coordinamento della Dda di Catania, gli immigrati sarebbero stati esposti a pericoli enormi per la loro stessa vita durante il tragitto; e poi, una volta giunti in Italia, sottoposti anche qui “a trattamento inumano o degradante”. Altri sono indagati per esercizio abusivo di attività di intermediazione finanziaria: avrebbero illecitamente aiutato alcuni immigrati a far uscire dall’Italia i loro capitali attraverso circuiti non tracciabili.

È l’informativa della polizia, in particolare, a tratteggiare un quadro a tinte fosche sul trattamento disumano che sarebbe stato riservato a questi migranti: dall’Eritrea, dopo aver pagato, sarebbero stati potati in Sudan, dove alcuni criminali li avrebbero letteralmente rapiti e segretati, contattando poi le loro famiglie e costringendole a pagare per far oltrepassare loro il confine con la Libia. Una volta qui, la tragedia dei campi di prigionia libici, tristemente noti in tutto il mondo, e nuove richieste di riscatto alle famiglie, costrette a pagare più volte per assicurare ai propri familiari in posto in una delle tante carrette del mare destinate alla Sicilia.

Nell’Isola, sarebbero finiti in mano all’organizzazione italiana, dedita allo sfruttamento dell’ingresso e della permanenza in Italia di questi immigrati, molti dei quali avrebbero pagato per non essere identificati dalle autorità ed evitare così che poi, per effetto delle convenzioni internazionali, una volta giunti a destinazione, venissero rispediti al Paese d’origine, cioè nel primo Stato in cui erano arrivati: l’Italia. L’organizzazione criminale avrebbe avuto “un’articolata rete di cellule operative all’Estero – prevalentemente in Eritrea, Sudan e Libia in Italia ed in altri Paesi comunitari quali Germania, Svezia e Francia e sul territorio nazionale, in particolar modo nelle provincie della Sicilia orientale ed a Milano”. La cellula operativa in provincia di Catania avrebbe avuto il compito di garantire l’accoglienza dei clandestini appena sbarcati o fuggiti, provvedendo alle loro esigenze logistiche fino al raggiungimento della destinazione finale tramite vari referenti lungo tutto il territorio nazionale, organizzando spostamenti eludendo i controlli delle Forze di Polizia e le normative nazionali. La cellula milanese, interessata nella fase finale del viaggio, avrebbe preteso altri soldi dagli immigrati.


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