Incandidabili, impresentabili, reietti. L’argomento, con cento declinazioni, è qui, non si scappa. La politica accredita una riscoperta dell’etica. Caccia dal tempio i mercanti che potrebbero fare ombra e rimandare le pulizie di primavera. Subito dopo si tenta di dimostrare che tutto è cambiato, per passare all’incasso del consenso.
In tanto giacobinismo di vernice fresca, mentre cadono le teste dei Crisafulli e dei Dell’Utri, un esperto lupo di campagna (elettorale) come Raffaele Lombardo ce la fa. Riesce a tirare i remi e la barca in salvo, sulla sponda del centrodestra con un giro di valzer, l’ennesimo, che nemmeno provoca clamore, tale è il rigetto che i cittadini hanno per la casta. Non ci stupiscono più. Qualunque evento per quanto traumatico non colpisce allo stomaco, non alza l’asticella dello sdegno. Siamo rimbambiti tra tecnici, ingroiani e grillini nell’anteprima di un confronto di cui non si capisce nulla.
E dunque Raffaele Lombardo. Che parla di sopravvivenza, perché un uomo come lui, abituato alle segreterie e alle conventicole di partito, fuori dai corridoi di un potere pure ridotto al lumicino sarebbe sperduto. Il copione della faccia di bronzo è inalterato. Ovviamente sono stati gli amici a pregarlo a mani giunte e a distoglierlo dalle cavalcate a Ramacca. Naturalmente Raf ha nicchiato prima di concedere un benevolo sì pubblico – immaginiamo corredato da una serie di gioiosissime capriole private – che appunto è stato concesso per un nobile ideale. Addirittura, la necessità di sopravvivenza della battaglia autonomistica siciliana a garanzia di noi tutti, buoni o cattivi. Il compagno di processione sarebbe Calderoli, il garante sarebbe Maroni con l’ectoplasma di Bossi. Suvvia, ragazzi, dettagli…
E il centrodestra non ha battuto ciglio. Anzi. Ha preso in carico un ex presidente della Regione con un procedimento pesantissimo in corso: c’è in ballo la mafia tanto per cambiare. Re Silvio – che secondo Raf ha insistito – deve essere afflitto da strabismo. Proclama il tempo delle epurazioni del vecchio per non smarrire nemmeno un voto nella decisiva battaglia al Senato. E, con la stessa motivazione, dà riparo a un’anticaglia democristiana, gravata da un processo con accuse terribili e transitata per varie casacche, con un pensiero dominante: garantire pane e companatico a se stesso e alla discendenza. La questione morale? Bubbole. Le liste pulite? Pinzillacchere. A Palermo, a Palermo, Raffaele, per conquistare l’ambita Sicilia che farà fronte compatto contro l’inquietante esercito montiano-vendolista.
Il resto non conta. Non conta la discutibile trasparenza politica del soggetto coinvolto, col timbro di una carriera spregiudicata. Non conta nemmeno il suo status di inquisito eccellente. I cittadini si arrabbiano? Pazienza. Sarà utile sorteggiare, nel frattempo, il Solone di turno col ditino alzato per censurare l’atmosfera crescente di antipolitica.
Se Berlusconia piange, Bersania non ride. Non può. La vicenda del tandem epurato Crisafulli-Papania è stata gestita con azioni degne di un capolavoro del grottesco. Li mandiamo alle primarie perché servono sul territorio a dare lustro, le eccellenze sul palco. Dopo, a tempo debito, imbracciamo il fucile della commissione di garanzia e spariamo, mirando alla schiena. Logica e onestà non sono valori misurabili a convenienza. Se Papafulli (Papania e Crisafulli) è una creatura mostruosa da tenere fuori dalla porta, allora non doveva essere consentito che varcasse la soglia delle primarie, la massima espressione democratica su cui il Pd ha giocato faccia e onore. Così diventa difficile spiegare il movente di un rinnovamento ad orologeria che sa di trappola e di falsità.
La buona politica ha bisogno di buone forme che rappresentino la sostanza. L’elettore è stordito, mica scemo. Annusa subito la differenza tra una rivoluzione etica e un’operazione di marketing. Alla faccia dei sepolcri imbiancati, verrebbe, per dispetto masochista, quasi da gridare: forza Marcello (Dell’Utri). Lui è “impresentabile”, secondo opinione diffusa. Ma almeno è coerente.