PALERMO – Sentenza confermata. Fabrizio Miccoli è stato condannato anche in appello a tre anni mezzo per estorsione aggravata dal metodo mafioso. La sentenza è del collegio presieduto da Massimo Corleo. L’accusa era rappresentata in aula dal sostituto procuratore generale Rita Fulantelli.
L’ex calciatore del Palermo avrebbe sollecitato Mauro Lauricella, figlio del boss della Kalsa, a chiedere la restituzione di venti mila euro all’imprenditore Andrea Graffagnini che li aveva incassati nell’ambito della cessione della discoteca Paparazzi di Isola delle Femmine.
Nei mesi scorsi la Corte di appello aveva creduto alla ricostruzione della Procura anche nei confronti di Lauricella. Da qui la condanna a sette anni. Molto più pesante del verdetto di primo grado – un anno e pena sospesa – quando il fatto da estorsione aggravata dal metodo mafioso era stato derubricato in violenza privata.
La vicenda iniziò quando l’ex fisioterapista Giorgio Gasparini cercò di riavere da Graffagnini i venti mila euro investiti nella discoteca. Le difficoltà a tornare in possesso dei soldi lo spinsero a rivolgersi a un altro giocatore per avere un consiglio e poi a Miccoli.
Gli investigatori davano la caccia al padre di Lauricella, Antonino, boss della Kalsa allora latitante, e si imbatterono in una conversazione del figlio con Miccoli. “Senti una cosa Mauro – diceva Miccoli a Lauricella – eh… i primi di luglio poi quando vengo, dobbiamo andare a parlare con sto qua. Eh, andiamo io, tu e lui andiamo, ci andiamo a mangiare una cosa a cena e poi… poi quando ci vediamo… capito parliamo un attimo. Va bene? Allora io appena scendo a Palermo ti chiamo, noi ci vediamo da soli io e te, ti spiego un po’ come è la situazione, perché non dobbiamo parlare solo della situazione mia, c’è un’altra cosa, poi ne parliamo di persona… poi andiamo a cena con questo qua e, gli diciamo le cose come stanno. Va boh?”. “Va bene – gli rispondeva Lauricella – te la sbrigo io appena scendi, capito?”.
“Non sapevo dove andare perché io non ho mai frequentato discoteche… il primo a cui ho pensato è stato Mauro”; così si era difeso Miccoli interrogato dai pm. Tra luglio e ottobre del 2010 Lauricella tentò di recuperare le somme. Non riuscendoci avrebbe chiamato in causa gli “amici di papà”.
Ci fu una riunione in una trattoria alla Kalsa, nel 2011, dove fu deciso che in occasione della partita in trasferta contro il Milan Miccoli avrebbe consegnato a Gasparini una busta con tre assegni per complessivi sette mila euro. Solo che gli assegni restarono insoluti. Gasparini incassò solo duemila euro. Dopo la condanna di appello sarà la Cassazione, davanti alla quale la difesa farà ricorso, a doversi pronunciare.
Durante le indagini, nel corso di un’intercettazione, Miccoli fu registrato mentre definiva Giovanni Falcone “un fango”. Un episodio a cui fa riferimento il legale dell’imputato, l’avvocato Giovanni Castronovo: “Miccoli è stato condannato solo per la frase offensiva proferita nei riguardi del compianto giudice Falcone che di rilievo penale non ha nulla. Faremo ricorso per Cassazione certi che almeno a Roma troveremo un giudice scevro da condizionamenti esterni che possa acclarare l’estraneità dell’ex capitano rosanero rispetto all’intera vicenda, nonché l’estraneità da qualsivoglia contesto malavitoso al quale non appartiene”.
Poco tempo fa Miccoli dichiarò: “Riguardo i miei errori, per i quali sono pronto a pagare il conto che la giustizia, eventualmente, riterrà di dovermi presentare, mi auguro ci sia ancora spazio, tra di noi e nella nostra società, per il perdono. Un perdono, e non una giustificazione, dunque, che ho chiesto e che chiedo ancora, nella speranza di poter essere riabilitato davanti agli occhi di tutti gli sportivi”.