Mentre il contagio in Italia rallenta e permette un ritorno quasi totale alla vita di tutti i giorni, nel Paese in cui vive la pandemia è fuori controllo e continua a seminare morte e povertà, con oltre ottocento mila casi e 41 mila morti. Paolo Furia, agronomo palermitano, un giorno di cinque anni fa ha preso armi e bagagli e si è trasferito in Brasile. Si è sposato e lavora a Recife, capitale dello Stato del Pernambuco che si affaccia sull’Oceano Atlantico, e da metà marzo è insieme alla moglie in rigido autoisolamento: una scelta ben lontana dalla generale quarantena ‘soft’ che in Brasile ha ottenuto scarsissimi risultati sul fronte del contenimento del contagio, al punto da trasformare la situazione del paese sudamericano in un vero e proprio ‘caso’ mondiale del Covid-19.
Escalation di casi
Il numero delle vittime e dei positivi aumenta in modo esponenziale e solo da pochi giorni il governo ha ricominciato a rendere pubblici i dati totali dall’inizio della pandemia. E’ successo dopo l’ordine della Corte suprema al ministero della Sanità di riprendere la diffusione quotidiana delle statistiche relative al virus: venerdì scorso il governo di Bolsonaro, aveva deciso di cambiare il criterio su cui si basa il conteggio dei casi, fornendo solo le cifre dei contagi e dei decessi delle ultime 24 ore. “Ciò avrebbe ovviamente fornito una visione parziale e poco veritiera – dice Paolo – e avrebbe ulteriormente peggiorato una situazione già resa drammatica dalla linea negazionista e surreale del governo attuale. Ho condiviso sin dall’inizio le misure adottate in Italia, perché non puoi fermare il contagio se non fermi le persone, purtroppo. In molte zone del Brasile invece se vuoi uscire puoi farlo. E più volte al giorno, senza alcuna restrizione”, spiega. E’ per questo che è possibile notare per le strade almeno il cinquanta per cento della popolazione: le scuole sono state chiuse, bar e ristoranti possono soltanto effettuare le consegne a domicilio, “ma chi resta in casa lo fa per una scelta volontaria aggiunge Paolo – come succede nella città in cui abito io, dove per fortuna c’è maggiore consapevolezza. E’ chiaro che il Coronvairus non si combatte rendendo facoltative decisioni del genere”.
Il sogno di incontrare la famiglia in Sicilia
Paolo ha seguito passo dopo passo l’evoluzione dell’emergenza in Italia, primo paese europeo a dover combattere contro il nemico invisibile che fino ad oggi ha fatto registrare più di duecento mila casi. Ma mentre le regioni riaprono e gli italiani provano a lasciarsi alle spalle il lockdown, il Brasile diventa giorno dopo giorno l’epicentro della pandemia nel continente americano, con numeri destinati a crescere e prospettive poco rosee. “Non so nemmeno se potrò vedere mia madre quest’estate – dice sconfortato -. A febbraio ho fatto i biglietti per tornare in Sicilia con mia moglie, come facciamo ogni anno, ma non sappiamo ancora se ce la faremo. A distanza di poche settimane, quando in Italia è scoppiato il focolaio a Codogno e qui si erano registrati i primi due casi, abbiamo optato per l’autoisolamento”.
I primi due contagiati erano tornati dall’Italia
“Ci siamo subito sentiti in pericolo – prosegue Paolo – e non potevamo di certo attendere che la situazione degenerasse, come in effetti qui è stato. La gente si ammala, muore anche da sola in casa, c’è un enorme divario tra ricchi e poveri, anche nella percezione stessa del pericolo e nelle possibilità di essere curati o meno, specie adesso che il sistema sanitario rischia il collasso”. E le sensazioni confuse di quelle settimane non si sono fermate soltanto alla paura. “I primi due positivi registrati a Recife erano appena tornati dal Nord Italia e per alcuni giorni gli italiani che vivono qui, me compreso, venivano guardati con sospetto, come se fossimo tutti infetti. Ciò mi ha dato un po’ fastidio, ma col tempo abbiamo capito tutti che il virus è una minaccia a livello globale. Il Brasile è un paese che amo immensamente e in cui ho realizzato i miei sogni più grandi, ma qui si sta sbagliando tutto. Per questo ho la sensazione che l’incubo sia appena cominciato e mi scoraggia immaginare di non poter rivedere presto mia madre. So già che prima di partire dovremmo accertare le nostre condizioni di salute – sottolinea Paolo – e ci metteremmo volontariamente in quarantena una volta arrivati in Sicilia, attendendo ulteriori quindici giorni prima di incontrare i miei cari. Poi aspetterei una situazione migliore per rientrare. Al momento – conclude con rammarico – posso soltanto accontentarmi delle videochiamate e di sapere che la mia famiglia in Sicilia sta bene”.