Ogni mattina, qualcuno si sveglia sognando la fuga; altri, iniziano a ripetere rassicuranti riti quotidiani, a partire dal caffè. La scienza lo conferma: l’umanità si divide tra esploratori e abitudinari. La mobilità sul pianeta è stata testata da un team di scienziati del CNR e dell’Università di Pisa, in collaborazione con il Barabási Lab di Budapest e Boston, che ha raccolto, in forma anonima, dati di GPS e cellulari, svelando abitudini e analizzandole secondo un modello matematico; e come sempre, i numeri hanno rivelato molto del comportamento umano. Effettuare una tale bipartizione della popolazione è stato possibile confrontando il raggio di mobilità ricorrente, ovvero relativo agli spostamenti di routine, come quelli tra casa e posto di lavoro o sede di studio, e quello di mobilità totale, che ricomprende tutti gli spostamenti effettuati. Si sono così individuati due gruppi ben distinti di soggetti, con caratteristiche tra loro molto diverse.
Il primo gruppo è composto da persone il cui raggio di mobilità ricorrente è molto simile a quello totale: la mobilità degli ‘abitudinari’ può essere ridotta agli spostamenti che fanno tra i pochi luoghi che visitano in modo costante e frequente, tra loro collegati. Al contrario, gli ‘esploratori’ mostrano una mobilità ‘a stella’, con un nucleo centrale (quello costituito da casa e posto di lavoro) intorno al quale gravitano altre locazioni, spesso tra loro molto distanti.
Lo studio (italiano, diciamolo) sugli schemi di mobilità, pubblicato sulla rivista ‘Nature Communications’ da Luca Pappalardo, associate researcher dell’Institute of Information Science and Technology del CNR di Pisa in collaborazione con i colleghi Simini, Rinzivillo, Pedreschi, Giannotti e Barabási, col titolo ‘Returners and explorers in human mobility’, visualizza la complessità dei modelli di mobilità seguendo gli spostamenti quotidiani di decine di migliaia di persone attraverso le chiamate effettuate dai cellulari e le tracce lasciate dai GPS; quindi enuclea le due categorie nelle quali gli individui naturalmente si dividono, e i cui comportamenti avrebbero conseguenze diverse rispetto ad analisi mirate in vari settori. Difatti quella tra ‘explorer’ e ‘returner’ potrebbe essere una distinzione cruciale e dalle numerose ricadute.
Il sistema di navigazione satellitare GPS, onnipresente non solo sulle automobili ma anche negli smartphone, permette di registrare e studiare un gran numero di dati sulle abitudini delle persone con una insospettabile accuratezza. Si tratta di un vero e proprio ‘microscopio sociale’, inimmaginabile solo fino a pochi anni fa, che ha stimolato le ricerche in numerosi campi, dalla fisica alla scienza delle reti, con rilievi e applicazioni importanti per la sanità pubblica, l’ingegneria dei trasporti, la pianificazione urbana e la progettazione delle ‘smart cities’. Gli studi attestano la straordinaria variabilità della mappa della mobilità umana; e dimostrano, tuttavia, anche un elevato grado di prevedibilità comportamentale: ogni itinerario quotidiano si differenzia da quello degli altri, ma di solito è ripetitivo. Questo schema però presenta delle eccezioni. Gli scienziati hanno difatti scoperto, analizzando i dati relativi alle localizzazioni delle chiamate con il cellulare di ben 67.000 persone per un periodo di tre mesi, e seguendo le tracce GPS di 46.000 veicoli in viaggio nel centro Italia per un mese, che per ogni persona tracciata, confrontando la distanza complessiva percorsa con il quadro degli spostamenti ricorrenti, ottenuti dal dettaglio dei luoghi frequentati più spesso, che esiste una categoria di soggetti rispetto alla quale gli schemi dei movimenti abituali non costituiscono una buona approssimazione rispetto alla totalità degli spostamenti. Questo significa che, in una percentuale rilevante di casi, ci sono persone, gli ‘esploratori’ appunto, che sovente si recano in luoghi mai visitati prima, al contrario di ciò che avviene per gli abitudinari. Si sono così evidenziate due modalità di spostamento completamente diverse, che non erano mai state individuate finora.
I comportamenti individuali sono stati monitorati, come si è detto, in un limitato arco temporale; confrontando il raggio di mobilità ricorrente, relativo cioè agli spostamenti di routine, con quello totale, i ‘data scientists’ hanno sviluppato un modello matematico in grado di catturarne le differenziazioni e hanno condotto esperimenti intensivi e simulazioni al computer per studiare alcune delle conseguenze della scoperta. ‘La ricerca dimostra come i Big Data offrano uno strumento potente per la comprensione del comportamento umano’, ha affermato Fosca Giannotti, senior researcher dell’ISTI-CNR. E’ un bel passo avanti compiuto verso la realizzazione di simulazioni realistiche in contesti fondamentali come il consumo energetico, l’inquinamento e la pianificazione urbana, ‘importante perché se abbiamo a disposizione modelli affidabili, siamo in grado di prevedere le conseguenze delle nostre scelte, sia individuali sia collettive’.
In buona sostanza, dimmi dove vai, e ti dirò chi sei. O meglio, te lo diranno, ancora una volta, i Big Data; e, ancora, dimmi con chi parli, e ti dirò che farai; e già si sconfina in un settore più delicato, perché se, in qualche, modo uscire dalla propria casa diviene un evento ‘pubblico’ e conoscibile, parlare al telefono lo è molto, ma molto, meno. L’analisi scientifica penetra, difatti, in abitudini che non riguardano solo gli spostamenti: si può, ad esempio, testare il grado di omofilia sociale dei due profili, come ha commentato il professor Dino Pedreschi dell’Università di Pisa, in quanto, attraverso l’osservazione della rete telefonica, si è rilevato che gli individui che comunicano tra loro di solito tendono ad appartenere al medesimo gruppo di mobilità: gli esploratori tendono a comunicare più spesso con altri esploratori piuttosto che con gli abitudinari.
Dietro la scienza dei dati ci sono persone (poche) che studiano altre persone (molte) spesso a loro insaputa, monitorandole fin nei minimi movimenti quotidiani; come nel caso di specie, che analizza grandi quantità di Big Data sulla mobilità umana fornite dalle tracce GPS di viaggi automobilistici e le informazioni ricavate dalla telefonia mobile relativi a centinaia di migliaia di persone, le ricerche degli ‘scienziati dei dati’ ‘spiano’ la nostra vita. Lo si spera, a fin di bene: la scienza è pura. Ma, ricordiamolo, la scienza non è mai neutrale, e questo potrebbe significare che i dati vengano utilizzati a fini commerciali (e ci potremmo accontentare) o a fini distorti (e questa è un’altra storia).
Intanto, cogliamo la nota positiva usata come zuccherino per farci accettare che non possediamo più, per citare Guccini (e chi conosce la canzone sa fino a dove si spinge l’invasione della privacy) un nostro momento. Poiché la minaccia delle malattie infettive che stanno travolgendo il globo è tornata a farsi seria, potrebbe essere utile la creazione di un ‘atlante della salute pubblica’. Gli esperimenti hanno dimostrato che girovaghi e stanziali hanno capacità differenti di diffondere, attraverso i loro movimenti sul territorio, eventuali epidemie; quindi la distinzione tra i due tipi di mobilità e la determinazione della loro complessità numerica potrebbe essere importante, in campo sanitario. Con una simulazione concentrata sugli schemi di mobilità della popolazione toscana, Pappalardo e colleghi hanno verificato infatti che con l’aumento della percentuale di esploratori aumentano anche le probabilità di diffusione delle malattie infettive. I pantofolai sono meno nocivi degli Indiana Jones. Questo risultato, per la verità, sembra abbastanza ovvio.
Quanto all’usarlo per la prevenzione, come recitava una vecchia boutade sui miracoli, ci stiamo attrezzando.