La varietà sulla quale stavolta mi è inciampato il mirino non ha ancora un nome, essendo di recente affermazione. Non che sia nuova. La si è vista fare capolino in varie occasioni e vanta una relazione simbiotica con la più antica e conosciuta delle categorie della nostra flora e fauna: quella dell’uomo politico. Attenzione, però. Se avete rivolto la mente a galoppini elettorali e portaborse, posso smentirvi all’istante. Si tratta di individui ben più ibridi dei suddetti.
Variopinti, ambosesso, refrattari alle schematizzazioni, sono meno grigi rispetto ai loro scafati predecessori nella scala evolutiva, tanto simili alla “remora” da squalo. Di certo più fantasiosi. Senza dubbio meritevoli di stupore e curiosità. Nel tempo che mi è servito a creare aspettativa, gli ho trovato un nome di comodo. Li chiamerò “gli impensabili”.
Per “impensabili” sono da intendersi coloro che non avresti mai creduto di vedere su un manifesto elettorale e invece eccoli. L’ultima tornata di voto in città, già singolare di suo, ha favorito la proliferazione di questa specie inedita eppure antica, plausibile ancorché stupefacente. Come spesso accade in natura, quando un evento straordinario sovverte le regole dell’ecosfera e fa nascere il basilico che profuma di zenzero e il coniglio a cinque zampe, in occasione delle amministrative di Palermo del 2012 abbiamo avuto “impensabili” a caterve. E badate che non si sta parlando di esponenti dell’“antipolitica” ma di alfieri dell’antinoia. Rendiamo loro lode, e non solo per il coraggio (o l’incoscienza) di buttarsi nell’agone pubblico. Candidati per la maggior parte al consiglio di circoscrizione, alcuni a quello comunale, un paio addirittura lanciati in corsa per la carica di sindaco, questi malintesi viventi della buona volontà, queste facce armate di un sorriso stupito e stupefacente, hanno esercitato su di me un effetto taumaturgico. Le elezioni si sono dipinte di colori psichedelici. È capitato quando, per un motivo o per un altro, conoscevo le storie di chi esordiva sui manifesti. Avrò contato almeno una decina di volti a me noti che si reinventavano di colpo e senza preavviso come uomini e donne della cosa pubblica. E la mia memoria è andata, fatalmente, alla ricerca di episodi privati che li vedevano protagonisti. Intemperanze, cascatoni, inadeguatezze, ignoranze, qualunquismi, bizzarrie. Gente con la quale avrei preso volentieri un caffè ma a cui non avrei affidato il mio cane per una passeggiatina diuretica. Gente che con la politica aveva a che fare come io potrei cimentarmi col punto croce. Gente da sempre in cerca di un lavoretto e con l’aria di averlo finalmente trovato.
Faccio un esempio senza nomi. Una signora con cui ebbi a che fare per un periodo della vita e dalla quale, alla fine di una cena decisiva, mi separai ritenendo che avesse bisogno di severe cure psichiatriche. Ho scoperto che si candidava. “Impensabile”, ho pensato. Ma non ce l’ho fatta a scandalizzarmi. Per come si stavano mettendo le cose in generale, le ho concesso l’attenuante del caos. Se gli altri sì, perché lei no?