Iperinformazione o disinformazione? La falsa libertà della rete

Iper-informazione o disinformazione? La falsa libertà ‘offerta’ dalla rete

Il mondo dell’informazione tende ad azzerare la persona

Nel corso della puntata de ‘La Torre di Babele’ andata in onda il 5 febbraio, dal titolo “La democrazia non è gratis”, Milena Gabbanelli, ospite di Corrado Augias, rispondendo a quesiti cruciali sullo stato dell’informazione in un Paese nel quale sette milioni di smartphone sono sempre connessi, mentre un numero decrescente di cittadini è disposto a pagare un giornale o un abbonamento online, ha più volte ribadito che niente è gratis: “Se non paghi nulla perché sul web l’informazione è disponibile gratis, la partita la gioca la pubblicità. Vogliamo un’informazione un tanto al chilo decisa dagli imperscrutabili algoritmi di Google o di Apple News oppure vogliamo la verità? Perché questo è in gioco, e la verità è un costo”.

Google e Facebook dominano il mercato

I dati sono illuminanti: nel 2023, la pubblicità digitale ha raggiunto picchi altissimi per un giro d’affari di 4,84 miliardi di euro, la maggioranza dei quali vanno a Google e a Facebook che garantiscono visibilità e “clic”. Nonostante gli studi di settore, siamo lontani da una consapevolezza degli effetti devastanti della disinformazione a fronte alle insidie del web e dell’utilizzo dell’I.A., descritti nel rapporto Ital Communications – Censis 2023, “Disinformazione e fake news in Italia. Il sistema dell’informazione alla prova dell’Intelligenza Artificiale” che monitora il mondo della comunicazione e l’opinione dei cittadini sulle fenomenologie in atto.

Cresce il “bisogno” online

Il bisogno di informazione cresce ma soprattutto online. 47 milioni di italiani, il 93,3% del totale, si informa abitualmente su almeno una delle fonti disponibili, l’83,5% sul web e il 74,1% sui media tradizionali. Sul versante opposto, sono circa 3 milioni e 300 mila, pari al 6,7% del totale, gli individui che hanno rinunciato ad avere un’informazione puntuale su ciò che accade, mentre 700.000 italiani non si informano affatto. Il tema di più scottante attualità è se l’Intelligenza Artificiale rappresenti un pericolo per l’umanità, poiché la sua utilità non ripara dai rischi in società organizzate intorno a produzione e profitto.

Il giornalismo e il web

Appare sconcertante l’idea di una “creatura”, capace di instaurare una schiavitù tecnologica, perfetta e illimitata. La finitudine è la prima condizione nell’orizzonte ontologico dell’uomo; il limite è connaturato alla sfera dell’esistenza, ne è elemento strutturale. E con limitazioni e imperfezioni, tra mondi virtuali e dinamiche evolutive, il fattore umano ha permesso di fondare, assorbire e scambiare cultura, e consentirà di tramandarla. Nella massa di notizie circolanti, una informazione corretta dovrebbe corrispondere alla realtà fattuale: offrire ai lettori, o meglio, agli utenti, quanto c’è di vero sotto un profluvio di affermazioni e contraddizioni. Ma il mondo del giornalismo non può essere il rarefatto prodotto di spassionati osservatori; è un’articolazione della società così com’è.

La mancanza di identità

Nell’economia del XXI secolo la conoscenza, intesa come insieme di informazione-formazione comunicazione, è diventata il fattore produttivo e la merce principale. Chi comanda nella società dell’informazione comanda il mondo: i giganti di Silicon Valley – Google, Amazon, Facebook/Meta, Apple, Microsoft – e il conglomerato di aziende che mediante la tecnologia controlla la rete. Nel panorama mediatico odierno, tutti sembrano sostanzialmente d’accordo. Gli spunti critici, sempre più rari, vengono presto messi a tacere, diluiti fino a svanire nel mondo dei social media. Non rimane alcuna certezza granitica. Senza identità, le idee individuali sono destinate a dissolversi.

L’intelligenza artificiale non pensa

Il mondo dell’informazione contemporanea tende ad azzerare la “persona” e a creare una massa di fruitori, ciascuno dei quali conchiuso nel suo personale spazio, facilmente controllabile. “La scienza non pensa”, scriveva, nel 1952, Martin Heidegger, spiegando che lungi dall’essere un limite, questa è la sua forza. Oggi, al culmine del dominio tecnologico, é auspicabile che non abbia rinunciato alla verità. Neanche l’I.A. pensa, ma può eseguire ragionamenti complessi utilizzando analogie e statistiche, con le potenzialità per diventare una forza distruttiva senza misure etiche e regolamentazioni atte a garantirne l’uso responsabile.

L’uomo vittima predestinata

Prigioniero, in tutti i sensi, di una rete inestricabile, l’uomo, con la sua falsa libertà, ne è la vittima predestinata. Immaginiamo di essere i dominatori dell’universo, il che non impedisce ai valori che costituivano il nostro mondo di soccombere. I vecchi rischiano di dismettere ogni formazione umanistica; le nuove generazioni, non potranno perdere ciò che mai hanno avuto. La maturità consapevole era il controcanto alla fine della giovinezza; si accompagnava alla genitorialità, all’amare al netto della passione effimera, alla compassione, nell’umano senso di patire assieme. L’indifferenza ci avvolge, smorza i sentimenti, gela gli entusiasmi, azzera la curiosità, addomestica il libero pensiero.

La globalizzazione dell’indifferenza

La globalizzazione ha fallito. Tuttavia ha determinato, come asserisce Papa Francesco, la globalizzazione dell’indifferenza; smarrita la dimensione fondamentale dell’etica, ha prodotto, tra sradicamento e perdita delle relazioni personali, un modello tecnocratico contro la persona. E il recupero della nozione di persona, che passa attraverso il rapporto con l’altro non necessariamente mediato dalle piattaforme digitali, richiede di superare la globalizzazione dell’indifferenza a favore di una globalizzazione dell’inclusione, dando per scontata, come universale premessa, la libera espressione del pensiero.


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