Più delle parole, conta l’immagine. La camicia sudata di Saro resterà fissa nella memoria, incollata e appesa alla pelle degli eventi. Le idee andranno via, per non tornare più. Le maledizioni si dissolveranno. Le lotte al coltello del consenso, contrada per contrada, si trasformeranno nel silenzio di tomba di un’isola in dissolvenza. La camicia sudata di Sarò farà da bandiera di un’epoca, giacché ogni epoca deve accontentarsi di quello che passa il convento.
Forse è il contrappasso delle cose sulla retorica. Rosario Crocetta ha sommerso la Sicilia di parole. L’ha annegata di metafore, circondandola con la metafisica della rivoluzione. L’ha stordita di proclami, di conferenze stampa anche per comunicare che ore sono, di miracolosi annunci. L’ha annacquata di sudatissima predicazione. Noi, invece, ricorderemo soprattutto l’alone che conquistò il grigio dell’indumento governatoriale, l’epico sudore in un giorno di sicilianissima estate ottobrina.
Così è la suggestione della politica comunicata: del tutto, sopravvive la sua metafora. Di Totò Cuffaro rimangono i cannoli. Di Raffaele Lombardo, la carta masticata con biro e matite. Ma in fondo, nella suggestione, c’è un soprassalto di cronaca e di profezia. Di Rosario Crocetta da Gela, l’uomo che voleva fare la rivoluzione, rimarrà una brutta camicia gocciolante. L’unica traccia superstite del caldo e dell’estate in una terra sopraffatta dalla glaciazione.