La collettiva O [eau] |a Palazzo Ziino - Live Sicilia

La collettiva O [eau] |a Palazzo Ziino

La collettiva O [eau] a Palazzo Ziino

Il titolo "O", che equivale alla pronuncia francese della parola acqua, vuole sottintendere un'inversione della sequenza logica, lo scorrere verso la vita.

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PALERMO – Si è inaugurata la scorsa settimana la collettiva da titolo “O [eau]”, curata da Laura Francesca Di Trapani e organizzata da Maurizio Veronesi di Caliari Project, presso gli spazi espositivi di Palazzo Ziino aperti nuovamente al pubblico. Il progetto, che è partito il settembre scorso a Motya, presso il Museo Withaker, con la performance “4.48 Psychosis”, trova adesso un’evoluzione oggettuale attraverso lo sguardo dei tredici artisti coinvolti: Balsamo&Barraja, Rita Casdia, Francesco Paolo Catalano, Manuela Di Pisa, Donato Di Trapani, Ricchezza Falcone, Annalisa Furnari, Loredana Grasso, Fabio Marullo, Rori Palazzo, Stefania Romano e Sergio Zavattieri. All’interno delle sale di Palazzo Ziino si confrontano così linguaggi differenti, tecniche dissimili (dalla fotografia al video, dalla pittura alla scultura e all’installazione) e personalità artistiche diverse che hanno, però, tutte ragionato sulla figura shakespeariana di Ophelia e il concetto di acqua ad essa strettamente connesso. L’orizzonte femminile, inclusivo e avvolgente come un abbraccio liquido e materno, che nutre e dà vita, costituisce infatti l’incipit della mostra.

Il titolo “O”, che equivale alla pronuncia francese della parola acqua, vuole sottintendere — come scrive la curatrice nel testo in catalogo — “un’inversione della sequenza logica, lo scorrere verso la vita, […] in questo ascendente fluire dal basso verso l’alto, dal kronos all’eternità”. Una rilettura in positivo della storia di Ophelia dunque, una riproposizione rigenerativa di questa stessa che trova proprio nell’acqua la sua rinascita. Al suo mito, filtrato tuttavia da una sensibilità contemporanea, si ispirano le foto sognanti ed enigmatiche di Stefania Romano, così come gli scatti cinematografici di Francesco Paolo Catalano e Manuela di Pisa. Emerge un’ Ophelia fragile, forte e moderna insieme.

D’acqua sembra, invece, fatto il vestito-scultura di Roberta Barraja (costumista e scenografa) e Daniela Balsamo — insieme per la prima volta in quest’occasione — che, invasivo e leggiadro, si impone nello spazio evocando, e al contempo formalizzando, il concetto di libertà e femminilità. In una vasca d’acqua pietrificata affondano/affiorano gli animali scolpiti da Loredana Grasso che prediligendo il bianco candore di serpottiana memoria attua un dialogo sottile tra passato e presente, vita e morte. Una veduta sull’orizzonte del mare è l’immagine che ci restituisce la fotografia di Annalisa Furnari, la quale attingendo ad una memoria personale fornisce una sua intima interpretazione del tema affrontato, suggerito piuttosto che esplicitato. E ancora con l’acqua dialoga la fotografia di Rori Palazzo, in cui il dualismo, la rifrazione e la vanitas costituiscono gli elementi cardine di una composizione sapiente, articolata e accattivante, in bilico tra perfezione e inquietudine, sogno e incubo.

Sulla natura, sulla sua bellezza affascinante e conturbante insieme, si muove invece il raffinatissimo lavoro di Sergio Zavattieri, che propone delle gigantografie di elementi vegetali giocate tra realtà e rappresentazione, verità e finzione. A questi si uniscono i piccoli olii senza coordinate spazio-temporali di Fabio Marullo e due opere video. Una è di Rita Casdia, la quale ad un’animazione dalla grafica infantile unisce contenuti controversi riguardanti la relazione uomo/donna e le rispettive identità all’interno della società odierna, l’altra è di Ricchezza Falcone, che mette in scena un fluire continuo di inizio e fine, morte e rinascita all’interno di una sfera emozionale e simbolica.

Il progetto espositivo in questa sua volontà di scorrere in un discorso unitario abbattendo gli stessi vincoli architettonici presenta, infine, l’installazione sonora di Donato Di Trapani che coniuga elettronica e suoni d’ambiente avvolgendo, come per l’appunto un liquido amniotico, tutto il percorso di mostra.


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