Il Pd in Sicilia come il Titanic, con il commissario Alberto Losacco nell’involontario ruolo del comandante ignaro prima di colare a picco? Questo è quello che si sussurra nel giorno in cui i renziani, a Palazzo delle Aquile, transitano armi e bagagli con ‘Italia Viva’. Si tratta dello spezzone di una fuga dai democratici che è cominciata ieri, prosegue oggi e continuerà domani: ecco il perché della suggestione dell’affondamento.
Eppure, il commissario, paracadutato quaggiù tra le macerie di un partito diroccato, in una intervista a LiveSicilia.it, aveva recitato la sua brava processione di fede: “Non temo una diaspora”, commentando l’abbandono del renzianissimo Luca Sammartino con profezia incorporata del suddetto: “Lascio il Partito Democratico. Che ringrazio. Ma Italia Viva è un’altra cosa. E insieme a me, presto arriveranno moltissimi amministratori locali, nuovi militanti”.
Dal canto suo, Dario Chinnici, renziano rientrato alla casa del leader, al Comune, spiega “Il Pd di oggi non è quello in cui ho militato per tanti anni e che ho contribuito a costruire, per questo ho scelto di aderire a Italia Viva. Nessuna polemica, per carità, ma è ora di pensare una nuova agenda riformista. Dobbiamo tornare a occuparci dei giovani che lasciano la nostra Isola in cerca di lavoro, degli anziani che non arrivano a fine mese, delle famiglie che si occupano di un disabile e da sole non ce la fanno, delle donne troppo spesso costrette a scegliere tra maternità e lavoro, dei cinquantenni che si ritrovano disoccupati. Non è tempo di perdersi in sciocche guerre fratricide fra correnti e sono convinto che Italia Viva darà nuovo slancio al centrosinistra”.
E chissà se sarà baciata dalla ventura la navicella che salpa, seguendo il remo del nocchiero toscano, o se si tratterà dell’ennesima chimera destinata all’evaporazione. Intanto, più sinistra…
“Dobbiamo superare un momento critico – prova a reagire Carmelo Miceli, deputato nazionale pidino -. Sono ottimista. Da Roma, vedo una fase nuova con l’azzeramento degli scontri, non siamo più a ‘quelli contro questi’ e si ragiona in una prospettiva unitaria. La scissione è pure un’opportunità. Il Pd siciliano? Non si rilancia sul tesseramento che è la cristallizzazione di una comunità esistente che deve, invece, ritrovare la voglia di andare avanti e di stare insieme. Davide Faraone non c’è più, ora tutti sono obbligati a riconoscere onestamente se il problema era lui o una modalità di gestione collettiva. Abbiamo bisogno di una fase costituente e ricostituente. Io resto qui, senza se e senza ma”.
E poi c’è Antonello Cracolici, parlamentare regionale, conoscenza di persone e cose e pelo sullo stomaco da vendere: “Il Pd, in Sicila e non solo in Sicilia, va rifondato. Il modello che abbiamo costruito, che si basava sul maggioritario, non va più bene. In Sicilia ancora di più, perché la crisi è profonda. Scontiamo l’eredità di un partito a trazione renziana. Faraone ha voluto creare un partito fuori dal partito, un esperimento che ha provocato la deflagrazione. Sono necessari un mandato di ricostruzione e una leadership vera. No, io non mi candido, fosse solo per l’elemento anagrafico, però sono pronto a dare consigli e non rinuncerò mai a dire la mia”.
L’onorevole Fausto Raciti, al telefono, non ha più la voce segnata dalle preoccupazioni che lo affliggevano quando era il segretario regionale: “Ho preso dieci chili – scherza e aggiunge – Il Pd siciliano non sta bene perché è fermo e perché la scissione lo danneggia ulteriormente: dà l’impressione di essere un luogo per i pochi affezionati rimasti in omaggio all’abitudine. Dobbiamo affrontare i prossimi mesi, provando a ‘stappare’, nel senso di esserci, uscire allo scoperto, creando uno spazio importante per chi desidera il ritorno della politica con il centrosinistra. E’ fondamentale recuperare l’opinione pubblica; non è la somma delle preferenze o dei deputati che produce il risultato. E le nostre parole devono essere quelle del socialismo europeo che non hanno niente da spartire con l’assistenzialismo, il giustizialismo e il trasformismo”.
Il Pd quaggiù come il Titanic, insomma? Sì o no? Sostiene il compagno Antonio Rubino, personaggio che ha attraversato tante stagioni: “Il Titanic mi pare una metafora appropriata. Il commissario cerca di tenere tutto insieme, ma a Palermo il partito scompare. E ci sono colpe gravi. Alcuni avevano già deciso di andare via, altri sono stati spinti da un gruppo dirigente che fa capo a Zingaretti: hanno indossato i panni dei buttafuori. Siamo allo smottamento. C’è chi va via per accasarsi altrove, c’è chi va via a prescindere. Io non mi muovo, ma spero che il congresso rilanci la politica. Il punto è che in circolazione ci sono sempre gli stessi”.
L’opinione generale pare tendente al pessimismo, corretto con una spolverata di buona volontà, come si annota, con l’impegno a non mollare. Chissà se basteranno – impegno e volontà – o se ci sarà la corsa all’ultima scialuppa disponibile.